Quasi un decennio di aspre battaglie. Innumerevoli trial clinici randomizzati di prima e seconda linea hanno fallito. Dopo sorafenib (ASCO 2007), nessuno. Avrà migliore sorte il ramucirumab, anticorpo monoclonale diretto contro VEGFR2, che vanta trionfi in altre patologie gastrointestinali?
Quasi un decennio di aspre battaglie. Innumerevoli trial clinici randomizzati di prima e seconda linea hanno fallito. Dopo sorafenib (ASCO 2007), nessuno. Avrà migliore sorte il ramucirumab, anticorpo monoclonale diretto contro VEGFR2, che vanta trionfi in altre patologie gastrointestinali?
Zhu AX et al. Ramucirumab versus placebo as second-line treatment in patients with advanced hepatocellular carcinoma following first-line therapy with sorafenib (REACH): a randomised, double-blind, multicentre, phase 3 trial. Lancet Oncol 2015; epub 19 Jun 2015
La prognosi del carcinoma epatocellulare è condizionata da vari fattori prognostici, tra i quali il performance status, la classe di Child-Pugh (che include l’evoluzione dell’epatopatia di base) ed il valore assoluto del marcatore Alfa-feto proteina.
Tra il 2008 e il 2009 il sorafenib si è imposto nel mondo come nuovo standard terapeutico in questa patologia, grazie ai dati dello studio SHARP (Llovet JM, N Engl J Med 2008) e dello studio gemello condotto in popolazioni asiatiche (Cheng AL, Lancet Oncol 2009). Quello che sembrava l’inizio di una nuova entusiasmante era si è in breve rivelato un fenomeno isolato. Negli anni a seguire almeno dieci studi randomizzati non hanno migliorato i risultati clinici, non riuscendo a trovare molecole o associazioni più efficaci in prima linea né trattamenti efficaci in linee successive. In rapida successione, sul campo sono caduti brivanib, erlotinib, linifanib, sunitinib, everolimus, tivantibib. Ora è la volta di ramucirumab.
In quest’ottica va letto e incasellato lo studio di fase III REACH nel quale sono stati randomizzati pazienti con epatocarcinoma in progressione o intolleranti a sorafenib, in stadio BCLC B (non suscettibile di terapia locoregionale) o C e classe di Child-Pugh A, a ricevere ramucirumab ev alla dose di 8 mg/Kg ogni due settimane ovvero placebo. In entrambi i bracci di trattamento i pazienti ricevevano anche terapia di supporto.
Lo studio è stato condotto in oltre 150 centri provenienti da 27 differenti paesi ed aveva come endpoint primario la sopravvivenza overall nella popolazione intention-to-treat, mirando ad ottenere un HR di 0.75 corrispondente ad un prolungamento della sopravvivenza mediana da 8 medi circa (braccio standard) a 10.7 mesi (braccio sperimentale) con una potenza dell’85% e un errore alfa one-sided di 0.025. Da notare una grande cura nella misurazione della progressione durante il trattamento, con una rivalutazione radiologica prevista ogni sei settimane nei primi 6 mesi di trattamento e ogni 9 settimane dopo tale intervallo.
In un periodo di circa 30 mesi sono stati randomizzati 565 pazienti, ben bilanciati per le principali caratteristiche cliniche nei due bracci di trattamento. Età mediana alla random era 64 anni, il 50% circa della casistica era caucasica, poco meno del 50% aveva etnia asiatica. Oltre 85% della popolazione inclusa aveva sospeso sorafenib per progressione di malattia documentata radiologicamente.
Lo studio è negativo: non si è osservato un vantaggio del ramucirumab vs placebo nell’endpoint primario, con una sopravvivenza mediana di 9.2 mesi nel braccio sperimentale (95%CI 8.0-10.6) vs 7.6 mesi nel braccio standard (95%CI 6.0-9.3), HR 0.87, p=0.14).
Si riportava invece un prolungamento statisticamente significativo (ma clinicamente irrilevante) della PFS mediana, con un vantaggio mediano inferiore al mese (2.8 vs 2.1 mesi), HR 0.63, p<0.0001.
Interessante segnalare il vantaggio in sopravvivenza in pazienti con AFP elevata (oltre 400) che ricevevano il farmaco antiangiogenico. In questa popolazione a prognosi sfavorevole, la sopravvivenza mediana passava da 4.2 mesi a 7.8 mesi, HR 0.67 (95%CI 0.51-0.90), p=0.006. Correttamente gli autori segnalano che l’analisi ha solo valore speculativo e debba essere confermata in uno studio prospettico.
Nei pazienti con epatocarcinoma pretrattato il ramucirumab non ha prodotto risultati convincenti.
Rimane da un lato la necessità di disegnare studi randomizzati che tengano in considerazione il possibile impatto dei trattamenti su coorti di pazienti selezionate e dall’alto il bisogno di una maggiore comprensione delle pathways biologiche driver della patologia e della sua straordinaria eterogeneità. Se la strategia antiangiogenica possa essere di beneficio nella popolazione già esposta a sorafenib con valore di elevato di AFP sarà oggetto di studio nel REACH-2.