Patologia gastrointestinale
Venerdì, 29 Novembre 2024

Ipilimumab e nivolumab nei pazienti con carcinoma colorettale avanzato e instabilità microsatellitare

A cura di Giuseppe Aprile

Se l'utilizzo di pembrolizumab in monoterapia in pazienti con CRC avanzato e instabilità microsatellitare aveva surclassato in efficacia la chemioterpia, la combinazione ipilimumab e nivolumab la polverizza: sarà questa la strada migliore per sfruttare l'immunoterapia nei pazienti MSI?

Andre T, et al; CheckMate 8HW Investigators. Nivolumab plus Ipilimumab in Microsatellite-Instability-High Metastatic Colorectal Cancer. N Engl J Med 2024 Nov 28;391(21):2014-2026

Non è certo una novità il fatto che pazienti con carcinoma del colon retto ad elevata instabilità microsatellitare beneficino poco della chemoioterapia (vedi ad esempio Ribic, et al. N Engl Med 2003). Nella fase avanzata di malattia i pazienti con difetto nel meccnismo di riparo del DNA sono approssimativamente il 5% e possono essere individuati con immunoistochimica (dMMR) o con PCR o test di sequenziamento NGS (MSI-H).

Per questi pazienti la definizione dello stato di instabilità microsatellitare costituisce una importantissima informazione da conoscere al momento della diagnosi, anche a fini della scelta terapeutica.

Sebbene il trattamento con pembrolizumab sia certamente superiore alla chemioterapia in prima linea (trial KN 177), il 29% dei pazienti sperimentano una precoce progressione di malattia e solo metà non riportano una progressione a due anni di follow-up. Si cercano quindi strade alternative per ottimizzare la terapia con immunoterapia in questa situazione clinica.

In quest'ottica è stato condotto il trial di fase II Checkmate 142 prima (varie pubblicazioni, Andre T, et al. Ann Oncol 2022) e poi disegnato il trial di fase III randomizzata 8HW che ha arruolato circa 300 pazienti assegnandoli 2:2:1 a tre bracci di trattamento con nivolumab e ipilimumab (rispettivamente alla dose di 240 mg + 1 mg/kg di peso ogni 3 settimane per 12 settimane poi seguiti da mantenimento con nivolumab alla dose di 480 mg ogni 4 settimane), solo nivolumab (240 mg ogni 2 settimane per 12 settimane, poi 480 mg ogni 4 settimane) ovvero chemioterapia +/- biologico.

La definizine di insabilità microsatellitare (dMMR o MSI-H) era stabilita nel singolo centro ma anche confermata centralmente, per evitare errori di assegnazione dello stato come già successo in altri studi.

I due endpoint primari, stabiliti nei pazienti con conferma centralizzata dello status, erano la PFS del braccio con nivolumab plus ipilimumab vs quello con chemioterapia (corrte upfront) e la PFS con nivolumab plus ipilimumab vs nivolumab in pazienti con malattia avanzata, indipendentemente dalle linee precedenti. La revisione dell'imaging era centralizzata e blinded.

 

 La pubblicazione riporta dopo un follow-up mediano di 31.5 mesi i risultati di confrontro in PFS tra la coorte di pazienti assegnata al trattamento con nivolumab e ipilimumab (n= 202, 171 analizzati nella primary efficacy population dopo la conferma centralizzata dello stato di instabilità microsatellitare) vs quella assegnata alla sola chemioterapia (101, 84 analizzati).

A 24 mesi la probabilità di progression-free survival era del 72% (95%CI, 64-79) con nivolumab + ipilimumab vs 14% (95%CI 6-25) con la chemioterapia, con una p<0.001 per la differenza in PFS tra gruppi, calcolata utilizzando un stratified log-rank test a due code.

A causa della violazione nell'assunzione di rischi proporzionati, sono state fatte ulteriori analisi per comprendere il benefuicio del trattamento sperimtale sulla PFS: a 24 mesi il restricted mean survival time era di 10.6 mesi più lungo nel braccio sperimentale con doppia immunoterapia vs la chemioterapia (stimato 19.2 mesi nel braccio sperimentale e di 8.6 mesi in quello con chemioterapia).

 

Lo studio 8HW conferma in un setting di fase III randomizzato che il trattamento con nivolumab e ipilimumab per pazienti con malattia colorettale avanzata MSI/dMMR offre un vantaggio enormemente superiore alla chemioterapia in termini di PFS.

Sebbene la cross trial comparison vada presa con le pinze e si stiano mettendo a paragone trial differenti nel disgeno, il PFS rate a due anni ottenuta con solo pembrolizumab era del 42%, quello con ipilimumab e nivolumab del 72%. Sembra inoltre che il vantaggio del trattamento con doppia immunoterapia sia confermato anche in pazienti con mutazioni di RAS/BRAF e di malattia metastatica in sede epatica o peritoneale.

Alcune questioni restano aperte:

- anche in un trial randomizzato condotto in centri ad alto volume e indiscutibile esperienza, il 15% delle diagnosi di instabilità microsatellitare non sono confermate centralmente; la conferma centralizzata comunque migliora la forma della prima parte delle curve di PFS ed evita che una elevata quotaparte di pazienti abbiano PD come miglior risposta.

- vi sono altri fattori che possono condizionare la resistenza primaria la trattamento con immunoterapia, incluso lo status TMB, la composizone della TME ed alcuni parametri clinici (PS deteriorato, presenza di ascite, ecc)

- è necessario un follow-up di maggiore durata per valutare la modifica e l'appiattimento delle curve nel tempo con la traduzione del vantaggio in sopravvivenza overall

- la strategia di inibizione con doppio checkpoint avrà una parte competitiva nel possibile futuro utilizzo di BRAF inibitori e immunoterapia (vedi trial Seamark in corso), considerando che il 25-30% dei pazienti con instabilità microsatellitrare hanno mutazione di BRAF - dato confermato anche nel trial 8HW.

- per un trial di questa portata avere il 30% dei pazienti senza una nota caratterizzazione molecolare non è in linea con l'atteso.