Dieci anni dopo il trial MAGIC (N Engl J Med 2006) che sanciva il beneficio della chemioterapia preoperatoria nel carcinoma gastrico, pubblicato lo studio STO3 che alla chemioterapia aggiunge bevacizumab. Ma ora, per replicare la magia, più che David Cunningham ci voleva David Copperfield.
Cunnigham D, et al. Peri-operative chemotherapy with or without bevacizumab in operable oesophagogastric adenocarcinoma (UK Medical Research Council ST03): primary analysis results of a multicentre, open-label, randomised phase 2-3 trial. Lancet Oncol 2017, epub Feb 2nd.
In tutto il mondo è riconosciuto la chemioterapia pre/perioperatoria sia di vantaggio per pazienti con carcinoma gastrico o della giunzione gastroesofagea con linfonodi positivi, T3-T4 ma potenzialmente resecabile. In quanto possiamo quntificare questo vantaggio? Be, un incremento del 12% in sopravvivenza assoluta a lungo termine riportata nello studio e confermata da altre esperienze ha convinto anche i chirurghi più gagliardi.
Poi, nel corso degli anni, il trattamento dei carcinomi dellla giunzione si è in parte differenziato (studio CROSS e altre evidenze) e quello preoperatorio si è liberato della antraciclina, ma il concetto di fondo è rimasto incrollabile: il trattamento medico prima del bisturi apporta un consistente vantaggio.
In questo contesto è nata l'idea dello studio inglese STO3, iniziato come un fase II randomizzato e proseguito in un maestoso fase 3 che in 87 centri ha randomizzato oltre 1000 pazienti con neoplasia gastrica, della giunzione gastroesofageo o dell'esofago inferiore. I soggetti erano randomizzati a ricevere chemioterapia perioperatoria standard (3 cicli di ECX > chirurgia > 3 cicli di ECX) ovvero la stessa terapia con l'aggiunta di bevacizumab alla dose di 7.5 mg/Kg ogni 21 gg sia nella fase preoperatoria che in quella postchirurgica che per altri sei cicli come mantenimento in single agent.
Endpoint primario dello studio, manco a dirlo se conoscete il pragmatismo anglosassone, la sopravvivenza overall. Fattori di stratificazione erano il centro, la sede anatomica della neoplasia primitiva e lo stadio di malattia.
Tra la fine del 2007 e l'inizio del 2014 sono stati randomizzati 1.063 pazienti a ricevere sola chemioterapia perioperatoria (n=533) ovvero chemioterapia e bevacizumab (n=530). Oltre 80% dei pazienti inclusi erano di sesso maschile, con età mediana di circa 64 anni.
L'analisi è presentata dopo 508 eventi decesso (260 nel braccio sperimentale vs 238 in quello standard).
La sopravvivenza a 3 anni era sostanzialmente identica: 50.3% nel braccio di chemioterapia vs 48.1% nel braccio di chemioterapia e bevacizumab (HR 1.08, 95%CI 0.91-1.29, p NS). Non vi erano abbastanza pazienti seguiti in follow-up prolungato per stimare la sopravvivenza a 5 anni.
Inoltre, nessuna differenza in termini di DFS, PFS, risposte alla terapia preoperatoria (42% vs 41%), resezioni R0 (64% nel braccio standard vs 62% in quello sperimentale), dissezioni linfonodali estese che prevedessero asportazione di almeno 15 linfonodi (82% vs 85%), ma un maggior numero di complicazioni della ferita chirurgica (12% vs 7%) e di fistola anastomotica (24% vs 10%) nei pazienti trattati con l'antiangiogenico.
Se compariamo i risultati a quelli ottenuti 10 anni prima dallo studio MAGIC (che peraltro aveva un follow-up mediano di oltre un anno più lungo al momento dellla pubblicazione) le conclusioni sono semplici. Lo studio STO-3 ha fallito: aggiungere bevacizumab alla chemioterapia perioperatoria non ha portato alcun evidente beneficio.
Rimane da chiarire per quale motivo gli antiangiogenici abbiano questo strano effetto nel carcinoma gastrico e della giunzione: usati in seconda o in terza linea siano efficaci (ramucirumab, apatinib, regorafenib), mentre utilizzati in prima linea (bevacizumab, studi con ramucirumab in corso) o in perioperatoria (studio STO-3) siano al momento deludenti.
Per ora, quindi, nessuna nuova magia: the show must go on.