Dopo anni di stallo i successi sembrano arrivare anche nell'epatocarcinoma: accanto a regorafenib e immunoterapia ecco il cabozantinib, un inibitore tirosinchinasico multitarget che blocca VEGFR, MET e AXL. Pubblicati nella notte i risultati dello studio CELESTIAL, con il notevole contributo italiano.
Abou-Alfa GK, et al. Cabozantinib in patients with advanced and progressing hepatocellular carcinoma. N Engl J Med 2018, epub July 5.
Il carcinoma epatocellulare è stato per un decennio una patologia orfana di novità di rilievo [il trial registrativo SHARP che ha portato sorafenib ad esere il gold standard in prima linea è stato pubblicato nel 2008]. Un decennio di sconfittte, nel quale molte terapie con solido background biologico hanno invariabilmente fallito quando testate in trial clinici prospettici. Poi, la svolta. Il prolungamento dell'inibizione con il multitarget regorafenib in pazienti in progressione a sorafenib è risultato superiore in efficacia al placebo [RESORCE trial, Lancet 2017] e gli interessanti dati dell'immunoterapia con nivolumab in pazienti pretrattati.
In questo panorama si colloca lo studio CELESTIAL, che ha confrontato in un setting prospettico e randomizzato cabozantinib vs placebo in pazienti con HCC avanzato, classe A di Child-Pugh e ECOG PS 0-1 pretrattati con sorafenib.
La molecola studiata è un inibitore orale dei recettori di VEGF 1-3, di MET e di AXL (la cui alta espressione sono sinonimi di aggressività elevata nel paziente con epatocarcinoma) somministrato alla dose di 60 mg/die.
Nello studio i pazienti sono stati randomizzati 2:1 (terapia con cabozantinib vs matching placebo); stratificati per tipo di infezione epatica (regione geografica di provenienza, ed evidenza di diffusione di malattia extraepatica o di invasione macrovascolare. Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza overall, con la possibilità di proseguire la terapia anche in PD radiologica qualora vi fosse beneficio clinico. Il disegno statistico prevedeva un guadagno mediano di sopravvivenza del 30% circa (pari a un corrispondente prolungamento della sopravvivenza overall mediana da 8.2 a 10.8 mesi) con un HR di 0.76 a favore del braccio sperimentale.
I risultati della sperimentazione sono stati presentati al Gastrointestinal Cancers Symposium di San Francisco a inizio anno e ora pubblicati in esteso sul N Engl J Med.
Lo studio global ha arruolato circa 700 pazienti nell'arco temporale di 4 anni, provenienti da centri distribuiti in 19 paesi. L'etaà mediana dei pazienti randomizzati era anni, con una prevalenza del sesso maschile (oltre 80%), di origine etnica europea (circa 50%) e senza sbilanciamento tra i bracci in termini di eziologia dell'epatopatia sottostante, ECOG PS o diffusione di malattia estraepatica o invasione macrovascolare.
L'endpoint primario è stato centrato: la sopravivenza overall mediana nel braccio con cabozantinib era di circa 2 mesi più lunga di quella registrata nel braccio con placebo (10.2 mesi vs 8 mesi, HR 0.76, 95%CI 0.63-0.92, p = 0.005). In linea con il vantaggio di PFS si nota anche un raddoppiamento della PFS mediana (5.2 mesi vs 1.9 mesi, HR 0.44, 95%CI 0.36-0.52). Seppure vi fosse un incremento del tasso di risposte, in entrambi i bracci le frequenze erano trascurabili (4% vs 1%).
La tossicità, come atteso, era magiore nel braccio sperimentale. Gli effetti collaterali di grado 3-4 erano 68% vs 36%, con un incremento di eritrodisestesia palmoplantare (17% vs 0%), ipertensione (16% vs 2%), fatigue (10% vs 4%), diarrea (10% vs 2%) e incremento delle transaminasi.
Nella analisi di sottogruppo per la sopravvivenza overall si sottolinea che nei pazienti con ECOG PS 1 (330, HR 0.87), origine asiatica (175, HR 1.01) o eziologia virale HCV esclusiva (156, HR 1.11) il vantaggio di cabozantinib non era evidente.
Il trial è positivo, la molecola mantiene la promessa di efficacia suggerita dagli studui di fase II e conferma come l'inibizione di MET e AXL possa rappresentare un buon target per superare la resistenza all'antiangiogenico.
Tuttavia va considerato che sebbene la sopravvivenza mediana incrementi di due mesi, la curve si staccano dopo 4 mesi per ricongiungersi a 2 anni, la popolazione inclusa non rappresenta la maggior parte dei pazienti della pratica clinica e la tossicità del braccio sperimentale non pare trascurabile (quasi 70% di eventi G3-G4).
Risultati importanti quindi, ma non celestiali.