Acronimo shakespeariano per il trial che vuole verificare l'attività di un trattamento antiblastico intensivo associato a cetuximab in pazienti con carcinoma colorettale avanzato, lasciando aperte due possibilità nella fase di mantenimento (cetuximab vs bevacizumab).
Cremolini C, et al. Activity and Safety of Cetuximab Plus Modified FOLFOXIRI Followed by Maintenance With Cetuximab or Bevacizumab for RAS and BRAF Wild-type Metastatic Colorectal Cancer A Randomized Phase 2 Clinical Trial. JAMA Oncol 2018, epub ahead of print
Una delle strategie di trattamento intensivo da offrire a pazienti con carcinoma colorettale avanzato non resecabile include la tripletta di farmaci antiblastici (5-Fluorouracile, irinotecan e oxaliplatino) in associazione alla terapia biologica.
Sebbene i dati sulla combinazione della tripletta con EGFR-inibitore - da riservare ovviamente a pazienti con opportuna selezione molecolare - siano meno di quelli che prevedono l'associazione tra tripletta e bevacizumab, nuone evidenze stanno aumentando la confidenza con questo approccio.
Nelle precedenti esperienze, essenzialmente limitate a studi di fase II, i promettenti risultati di attività erano controbilanciati da un'elevata incidenza di tossicità (soprattutto gastrointestinale) che rischiava di compromettere la fattibilità del regime.
Inoltre, il ruolo del mantenimento con EGFR-inibitore è oggi non chiaro e alcune evidenze (es: studio COMETS), suggerirebbero come migliore la strategia di esporre il paziente ad antiangiogenico dopo una precedente esposizione a EGFR-inibitore.
Da queste premesse muove il trial Macbeth, uno studio di fase II randomizzato open-label multicentrico, che oltre a valutare safety e attività della associazione di tripletta e cetuximab in soggetti con carcinoma colorettale avanzato, RAS e BRAF wild-type, mira a esplorare il ruolo del mantenimento con biologico nei pazienti con buon controllo di malattia dopo 4 mesi.
Tra i criteri di eleggibilità vi era l'età massima di 75 anni, la valutazione centralizzata della biologia molecolare, la presenza di malattia misurabile secondo criteri RECIST; in caso di precedente trattamento adiuvante con oxaliplatino, la ricaduta doveva essere avvenuta almeno 12 mesi dopo il termine del trattamento postoperatorio.
Endpoint primario dello studio era il tasso di pazienti liberi da progressione dopo 10 mesi (mirando ad ottenere una percentuale di almeno il 70% vs il 50% riportato in letteratura). Per il disegno dello studio, non era previsto un confronto diretto tra i bracci di trattamento.
I dati sono stati pubblicati dopo un follow-up mediano di quasi 4 anni (44 mesi).
Tra i 143 pazienti randomizzati, circa 80% aveva biologia molecolare RAS e BRAF wild-type (ricordiamo infatti che l'arruolamento nello studio è partito nell'autunno 2011, in epoca precedente alla acquisizione dei dati sulla biologia molecolare estesa).
L'endpoint primario non è stato raggiunto in nessuno dei due bracci di trattamento.
In particolare, nel braccio A (tripletta e cetuximab seguita da mantenimento con cetuximab fino a progressione) i pazienti senza progressione di malattia a 10 mesi erano il 50.8% (90% CI, 39.5%-62.2%) mentre nel braccio B (tripletta e cetuximab seguita da mantenimento con bevacizumab fino a PD) erano il 40.4% (90% CI, 29.4%-52.1%)
Il tasso di risposta - determinato dalla prima parte del trattamento - era comunque molto alto, superando il 70%, come anche la possibilità di controllo di malattia.
Le tossicità di grado 3 e 4 più frequenti sono state la neutropenia (30% dei pazienti con il 3% di neutropenia febbrile), la diarrea (18%), la tossicità cutanea (16%). Si è inoltre registrata astenia severa nel 9% dei pazienti e stomatite nel 6%.
Come atteso, l'alta probabilità di risposta si traduceva in elevati tassi di resezione radicale, soprattutto nei pazienti con malattia metastatica limitata al fegato.
Sebbene lo studio sia formalmente negativo - l'endpoint primario non è stato raggiunto in nessuno dei due bracci -, possiamo fare alcune riflessioni:
1) in pazienti accuratamente selezionati, la tripletta a dosi opportunamente modificate in associazione a EGFR-inibitore è un trattamento fattibile in un contesto multicentrico; nel contesto nazionale sono in corso studi di fase III randomizzata che valuteranno l'efficacia della strategia.
2) il mantenimento con solo bevacizumab dopo tripletta e cetuximab non pare una strada promettente
3) l'alto tasso di risposta riportato con il trattamento ad alta intensità si traduce in un coerente beneficio in conversione alla resezione. La stessa autrice ha confermato in un altro recente lavoro che la risposta istopatologica sia l'unico fattore indipendente in grado di predire sopravvivenza in pazienti resecati dopo esposizione a tripletta e biologico (Cremolini C, et al. Differential histopathologic parameters in colorectal cancer liver metastases resected after triplets plus bevacizumab or cetuximab: a pooled analysis of five prospective trials. Br J Cancer 2018, epub Mar 13). Quindi, chi sia a interpretare Lady Macbeth, ora dovrebbe essere chiarissimo....