FIRE-3 vs CALGB 80405. Per spiegare i differenti risultati in sopravvivenza nei due studi che in prima linea confrontano testa a testa cetuximab vs bevacizumab in pazienti con CRC avanzato e biologia permissiva, quale importanza hanno le linee successive?
Modest DP, et al. Impact of Subsequent Therapies on Outcome of the FIRE-3/AIO KRK0306 Trial: First-Line Therapy With FOLFIRI Plus Cetuximab or Bevacizumab in Patients With KRAS Wild-Type Tumors in Metastatic Colorectal Cancer. J Clin Oncol 2015, epub ahead of print Aug 10.
Guardare assieme i due studi che hanno confrontato testa a testa cetuximab vs bevacizumab nei pazienti con carcinoma colorettale avanzato e biologia molecolare permissiva è una tentazione irresistibile. Al netto delle speculazioni, rimane a oggi non chiaro il motivo per cui lo studio FIRE-3 (Heinemann V, Lancet Oncol 2014) dimostri un vantaggio in overall survival, mentre lo studio CALGB 80405 (ASCO 2014, ancora non pubblicato in forma estesa) non lo abbia evidenziato.
Nel FIRE-3, il vantaggio in sopravvivenza (che non era endpoint primario dello studio) era di 3.7 mesi (28.7 mesi vs 25 mesi, HR 0.77, p=0.017) nella popolazione KRAS wt su esone 2 e incrementava a 7.5 mesi (33.1 mesi vs 25.6 mesi, HR 0.7, p=0.011). Nel CALGB 80405, invece, nonostante la simmetria tra studi in tassi di risposta e PFS, non evidenziava alcun vantaggio in OS.
Nell’epoca della sola chemioterapia, PFS si è dimostrata un solido endpoint surrogato di OS in questa patologia; il valore di endpoint surrogato di PFS non è stato dimostrato, invece, nell’epoca dei biologici.
In questo scenario gli autori si propongono di verificare se l’impatto delle seconde linee ricevute (in modo non prepianificato) nei due bracci di trattamento possa aver determinato una differente sopravvivenza post-progressione ovvero se l’esposizione upfront a cetuximab possa creare delle condizioni biologiche favorevoli all’efficacia dei trattamenti successivi.
Con un notevole sforzo di raccolta dati, gli autori descrivono con minuzia gli outcomes prodotti dalle seconde linee nei due bracci di trattamento.
Eliminati dall’analisi i pazienti deceduti durante la prima linea e quelli sottoposti a chirurgia di salvataggio, il 71.7% dei pazienti randomizzati al braccio con FOLFIRI e cetuximab ha ricevuto un trattamento di seconda linea vs il 68.1% di quelli esposti inizialmente a bevacizumab.
In una dettagliatissima tabella, gli autori riportano con dettaglio la tipologia di farmaci ricevuti in seconda e terza linea, specificando anche eventuali differenze nella popolazione ITT (KRAS wild-type su codone 12) darispetto a quella RAS wild-type.
La mediana di durata della terapia di seconda linea è stata più lunga in pazienti esposti upfron all’EGFR inibitore (5 mesi vs 3.2 mesi, p<0.001). In accordo a questo dato, la mediana di PFS in seconda linea (6.5 mesi vs 4.7 mesi, HR 0.68, p<0.001) e la mediana di sopravvivenza calcolata dall’inizio della seconda linea (16.3 mesi vs 13.2 mesi, HR 0.70, p=0.002) favorivano i pazienti inizialmente esposti a FOLFIRI e cetuximab. I risultati delle analisi non cambiavano se condotte nella popolazione KRAS wild-type su esone 2 o su quella con una più accurata selezione molecolare.
Un plauso agli investigatori per il grande dettaglio informazioni presentate, dato che dimostra una grande qualità dello studio. Numericamente, la percentuale di pazienti esposti a linee successive non differisce nei due bracci di trattamento, né differisce con quella di pazienti trattati in seconda linea nel CALGB. Tuttavia, le informazioni disponibili dallo studio nordamericano sono sicuramente meno precise.
Gli autori concludono che il considerare le seconde linee, per sé, non sia sufficiente a giustificare il vantaggio in sopravvivenza e sostengono la scelta della prima linea sia cruciale per almeno due ragioni: 1) tutti i pazienti la ricevono; 2) impatta in modo determinante sulla scelta, la durata e l’efficacia delle linee di trattamento successive.
In linea con questo pensiero vanno i dati preliminari dello studio italiano COMETS (ASCO 2015) che suggeriscono il trattamento in prima linea con FOLFIRI e bevacizumab possa ridurre l’efficacia di un trattamento immediatamente seguente con EGFR-inibitore. Le informazioni biologiche di questo fenomeno, tuttavia, devono ancora essere elucidate.
L’editoriale firmato da Alan Venook che accompagna l’articolo di Modest propone di riflettere su ipotesi alternative, considerando le differenze sistematiche nelle specifiche associazioni utilizzate in seconda e terza linea di trattamento e l’uso di bevacizumab beyond progression nei pazienti inizialmente esposti all’antiangiogenico. Con una lamentela sulla mancanza di informazioni dal CALGB 80405, quasi il primo autore non fosse proprio lui…