Certamente il CRICKET. Ed ecco pubblicati i risultati dell'omonimo studio che testa prospetticamente il rechallange con cetuximab e irinotecan in pazienti molecolarmente selezionati. Quali risvolti nella pratica clinica?
Cremolini C, et al. Rechallenge for Patients With RAS and BRAF Wild-Type Metastatic Colorectal Cancer With Acquired Resistance to First-line Cetuximab and Irinotecan. A Phase 2 Single-Arm Clinical Trial. Jama Oncol 2018, epub Nov 21st.
Che in pazienti con neoplasia colorettale avanzata (soprattutto sinistra) RAS e BRAF wild-type la pressione farmacologica data dal trattamento in prima linea con chemioterapia combinata a EGFR inibitore possa creare cloni resistenti è un fatto noto.
E' anche noto cosa si intenda per rechallange: una seconda esposizione a un trattamento oncologico con il quale il paziente era già stato in precedenza trattato, aveva riportato una iniziale chiara risposta e quindi sviluppato una altrettanto chiara progressione. Tra la oprima e la seconda esposizione, inoltre, il paziente è stato trattato con un altro regime non cross-resistente.
Lo studio CRICKET, vuole verificare se, in una popolazione molecolarmente selezionata e con una precedente storia di trattamento ben definita, vi sia la chance di risposta al rechallange con cetuximab (dose 500 mg/mq ogni due settimane) combinato a irinotecan (180 mg/mq ogni 2 settimane). Oltre alla biologia molecolare RAS e BRAF wild-type, la storia dei pazienti inclusi includeva:
- terapia di prima linea con chemioterapia e cetuximab; - risposta radiologica confermata e PFS superiore a 6 mesi; - progressione radiologica di malattia entro un mese dall'ultima dose ricevuta; - terapia di seconda linea oxaliplatin-based con bevacizumab; - tempo tra il termine della prima linea di terapia e l'avvio del rechallange di almeno 4 mesi; PS 0-2 e funzionalità epatorenale nei limiti. Inoltre, era prevista la raccolta del DNA circolante per verificare se l'analisi del ctDNA predicesse efficacia della strategia.
Con queste premesse è chiaro il motivo per il quale un piccolo studio (sono stati arruolati "solo" 28 pazienti) viene poi pubblicato sulle pagine di JAMA Oncology.
In circa 2 anni e mezzo sono stati arruolati 28 soggetti da 9 oncologie italiane; i tassi di risposta al rechallange sono stati i seguenti: RP 21%; SD 32%, PD 36%, NV 11%.
I pazienti che beneficiavano della strategia del rechallange (quelli con risposta radiologica confermata) erano quelli dove non si riscontravano mutazioni di RAS nel ctDNA al momento dell'avvio della terapia sperimentale: questo è stato dimostrato in 25 pazienti con materiale disponibile.
Inoltre, i pazienti senza mutazioni di RAS detettate nel ctDNA comparatai a quelli con mutazioni nel ctDNA avevano un significativo vantagio in PFS mediana (4 vs 2 mesi, HR 0.45) e un prolungamento della OS mediana (12.5 vs 5.2 mesi, HR 0.58, non significativo).
Quale è allora il messaggio dello studio?
Il rechallange funziona davvero ed è adottabile come nuova strategia terapeutica, ma solamente in pazienti molto ben selezionati molecolarmente (e a questo punto la cui assenza di mutazioni nel ctDNA sia confermata da una biopsia liquida) e con un pregresso simile a quello previsto nei criteri di inclusione nello studio. Rimane da stabilire se in questi casi il rechallange con EGFR-inibitore, guidato dalla biologia della malattia, possa costituire una scelta terapeutica migliore rispetto a trattamenti di terza linea sostenuti da una evidenza maggiore (regorafenib e tipiracil/trifuridina hanno studi di fase III random).
Nel frattempo, la ricerca corre velocissima: mentre nuovi studi stanno raccogliendo altre importanti informazioni su questo tema (CHRONOS, RASINTRO, A-REPEAT,....) c'è addirittura chi dimostra che le mutazioni di RAS determinate sull'iniziale biopsia tissutale possano nel tempo scomparire alla biopsia liquida, fratturando un paradigma che consideravamo immutabile (Gazzaniga P, et al. J Clin Oncol. In press). Tra una partita di Cricket e l'altra, prossimamente su Oncotwitting gli aggiornamenti di questa appassionante storia...