Noto il prepotente ingresso dell’immunoterapia nel trattamento sistemico dell’epatocarcinoma, gli autori presentano i risultati di una coorte del Checkmate 040. Si valuta la combinazione di nivolumab con ipilimumab in pazienti pretrattati con sorafenib.
Yau T, et al. Efficacy and Safety of Nivolumab Plus Ipilimumab in Patients With Advanced Hepatocellular Carcinoma Previously Treated With Sorafenib The CheckMate 040 Randomized Clinical Trial. Jama Oncol 2020 epub ahead of print
La terapia medica dell'epatocarcinoma - terza causa di morte tumore-relata con un numero annuale di nuovi casi in Italia che sfiora i 15.000 – ha avuto una rivoluzione. Oltre all’ingresso nella pratica clinica di nuove molecole [regorafenib, lenvatinib, cabozantinib] e degli antiangiogenici [ramucirumab, bevacizumab], abbiamo assistito al prepotente ingresso nel possibile armamentario terapeutico dell’immunoterapia.
I primi risultati del programma CheckMate40, uno studio di fase I/II open-label non comparativo, con dose-escalation e coorti di espansione di nivolumab, inibitore di PD-1, sono stati pubblicati su Lancet tre ani fa [El-Khoueiry AB, et al. Nivolumab in patients with advanced hepatocellular carcinoma (CheckMate 040): an open-label, non-comparative, phase 1/2 dose escalation and expansion trial. Lancet 2017]
Questo importante trial ha arruolato pazienti con epatocarcinoma avanzato e classe di Child-Pugh A (nella fase di dose escalation era ammessa anche la classe B se con 7 punti) separati dalla randomizzazione in tre bracci. Il primary endpoint della fase di dose escalation erano la safety e tollerabilità del trattamento; quello della fase di espansione era il tasso di risposte obiettive secondo criteri RECIST. I risultati dello studio hanno dimostrato che Il trattamento con nivolumab in monoterapia è ben tollerato e con un profilo di sicurezza accettabile, la dose scelta come standard per la fase di espansione è stata di 3 mg/Kg. Nella fase di espansione il tasso di risposte obiettive era del 20% con un controllo di malattia nel 65% dei casi, mentre il tasso di sopravvivenza a 9 mesi era di circa il 75%, con une mediana di sopravvivenza non raggiunta al momento dell'analisi.
In questa pubblicazione gli autori invece presentano i risultati in termini di sicurezza ed efficacia dei pazienti che hanno ricevuto la combinazione di nivolumab e ipilimumab dopo fallimento del sorafenib.
I pazienti erano randomizzati 1:1:1 a tre dosi differenti. Nel braccio A ricevevano nivolumab 1 mg/kg plus ipilimumab 3 mg/kg ogni 3 settimane (4 dosi). Nel braccio B ricevevano nivolumab 3mg/kg plus ipilimumab 1mg/kg ogni 3 settimane (4 dosi). Entrambe le prime due coorti erano seguite da nivolumab 240 mg ogni due settimane. Nel braccio C i pazienti ricevevano nivolumab 3 mg/kg ogni 2 settimane plus ipilimumab 1 mg/kg ogni sei settimane.
Nella coorte di combinazione dello studio Checkmate 040 sono stati randomizzati ai tre bracci 148 pazienti.
Il tasso di risposta, valutato da un review committee indipendente con criteri RECIST 1.1, è stato del tutto simile nei tre bracci, attestandosi attorno al 30% [nel braccio A era di poco superiore rispetto agli altri due bracci], Il tasso di risposta era molto simile usando i criteri RECIST modificati.
Sovrapponibile anche il disease control rate tra i tre bracci di trattamento di combinazione, di poco inferiore al 50%. La durata della risposta è stata di circa 20 mesi, con un 30% dei pazienti randomizzati che mantenevano la risposta per almeno 24 mesi.
Effetti collaterali relati al trattamento [di ogni grado] sono stati riportati in 46 dei 49 pazienti (94%) inseriti nel braccio A, in 35 dei 49 pazienti (71%) del braccio B, e in 38 dei48 pazienti (79%) del braccio C; si è registrata una sola morte tossica relata al trattamento nel braccio A [polmonite interstiziale].
I risultati della coorte di combinazione dello studio Checkmate 040 – sebbene non abbiano un braccio di comparazione e per la piccola numerosità i tre bracci possano non essere ben bilanciati - riportano un buon tasso di risposte per la combinazione di ipilimumab e nivolumab [e con una durata mediana della risposta del tutto soddisfacente] al follow-up mediano di 30 mesi.
Nonostante non vi fosse la potenza statistica per un confronto diretto tra i tre bracci di trattamento, i pazienti inclusi nel braccio A hanno riportato un tasso di risposte di poco superiore rispetto a quello degli altri due bracci, la mediana di sopravvivenza overall più promettente [23 mesi] e un eccellente tasso di sopravvivenza a 12, 24 e 36 mesi [rispettivamente del 61, 48 e 44%]. I dati della combinazione di nivolumab e ipilimumab in pazienti pretrattati con sorafenib sono quindi migliori di quelli riportati per il solo nivolumab nello stesso programma CheckMate 040 [RR 14%, OS mediana 15 mesi] o del solo pembrolizumab nel trial randomizzato KEYNOTE 240 [RR 18%, OS mediana 14 mesi].
Sulla base dei risultati riportati, il braccio di combinazione A [nivolumab 1 mg/kg plus ipilimumab 3 mg/kg ogni 3 settimane per 4 dosi, seguito da nivolumab 240 mg ogni due settimane] ha ricevuto approvazione FDA accelerata per utilizzo clinico.
Seppur i risultati siano chiari, rimane tuttavia poco definito come inquadrare questa possibile nuova combinazione, non approvata in Italia, nel momento storico in cui la combinazione di atezolizumab e bevacizumab sembra aver definito il nuovo standard terapeutico di prima linea, modificando nel prossimo futuro la prima linea con sorafenib a favore di quella della combinazione tra immunoterapico ed antiangiogenico [Finn RS, et al. Atezolizumab plus Bevacizumab in Unresectable Hepatocellular Carcinoma. N Engl J Med 2020].