Due trial clinici (TOPAZ-1 e KEYNOTE-966) hanno dimostrato come la combinazione di immunoterapia e chemioterapia sia il nuovo standard di trattamento per il paziente con colangiocarcinoma avanzato. Ma quali sono i dati di questa nuova strategia nella pratica clinica italiana?
Rimini M, et al. Durvalumab plus gemcitabine and cisplatin in advanced biliary tract cancer: An early exploratory analysis of real-world data. Liver Int. 2023 Aug;43(8):1803-1812.
Nel panorama del trattamento di prima linea del colangiocarcinoma la novità più importante degli ultimi anni è l'introduzione dell'immunoterapia in combinazione alla "classica" doppietta di gemcitabina e cisplatino. Due trial randomizzati, infatti, hanno dimostrato la superiorità di questa strategia di combinazione rispetto alla sola chemioterapia.
Nel trial TOPAZ-1, fase III in doppio cieco, pazienti con neoplasia avanzata o metastatica delle vie biliari erano randomizzati a ricevere cisplatino e gemcitabina +placebo/durvalumab alla dose di 1500 mg ev ogni 3 settimane seguito da mantenimeno con solo durvalumab. Il trial dimostrava un vantaggio per la combinazione chemioterapia + immunoterapia sia in OS (12.8 mesi vs 11.5 mesi, HR 0.80, p=0.021) che in PFS (HR 0.75), che un aumento significativo nel tasso di risposte (27% vs 18%).
Simultaneamente, nello studio KEYNOTE-966 sono stati randomizzati oltre 1000 pazienti a ricevere la stessa chemioterapia con o senza pembrolizumab. La median OS - endpoint primario del trial - è stata di 12.7 mesi (95%CI 11.5-13.6) nel braccio sperimentale vs 10.9 mesi (95%CI 9.9-11.6 in quello di controllo, con un vantaggio statisticamente significativo (HR 0.83, 95%CI 0.72-0.95, p=0.0034) e clinicamente rilevante.
Il durvalumab è stato approvato dall'EMA a fine dicembre 2022 e rimborsato in Italia alcuni mesi dopo. Nel frattempo, gli autori della recente pubblicazione hanno disegnato uno studio nel quale - con il supporto gratuito del farmaco - da febbraio a novembre 2022 da 17 centri italiani 145 pazienti sono stati arruolati prospetticamente e trattati con la combinazione di durvalumab e chemioterapia standard (cisplatino e gemcitabina). I risultati di questa prima esperienza clinica sono stati recentemente pubblicati.
L'endpoint primario dello studio (non comparativo) era la PFS con revisione dell'imaging radiologico lasciata al singolo sperimentatore.
In sintesi, gli autori riportano che dopo un follow-up mediano di 8.5 mesi, il 52.4% dei 145 pazienti arruolati nello studio avevano interrotto il trattamento e il 25% circa era deceduto, con un tasso di risposta del 34.5% (RC 4.8%, RP 29.6%), una PFS mediana di 8.9 mesi (95% 7.4-11.7 mesi) e una OS mediana di 12.9 mesi (95%CI 10.9-12.9 mesi).
Oltre la metà dei pazienti (55%) riceveva una seconda linea di terapia al momento della progressione che nella maggior parte dei casi conteneva fluoropirimidina e oxaliplatino, con un attrition rate simile all'atteso.
Da notare anche che la genesi della malattia oncologica in assenza di infezione virale, un PS inziale>0 e il rapporto neutrofili/linfociti basale >3 erano fattori prognostici negativi in PFS.
E' importante verificare quale sia l'impatto di una nuova terapia nella pratica clinica: gli studi di real world evidence servono anche ad eliminare i selection bias inevitabili nella conduzione di un trial clinico in quanto determinati da rigidi criteri di selezione. Questa operazione risulta particolarmente importante quando proponiamo il trattamento innovativo ad una popolazione "fragile", nella quale è verosimile attendersi un rapido deterioramento del performance status e con età anziana.
Un plauso quindi agli investigatori italiani che portano la prima evidenza mondiale di attività ed efficacia del nuovo trattamento (durvalumab, cisplatino e gemcitabina TOPAZ-like) nella pratica clinica.
I dati dello studio sono consistenti e quasi sovrapponibili a quelli del trial randomizzato, suggerendo la possibile applicabilità dello schema in una popolazione non particolarmente selezionata e confermando il buon profilo di tolleranza della combinazione oggi già in uso negli ambulatori oncologici italiani.