Lo studio OLIVIA si propone di valutare l'efficacia di due regimi utilizzati come trattamento di induzione in pazienti con metastasi epatiche non resecabili da carcinoma colorettale: FOLFOX + bevacizumab e FOLFOXIRI + bevacizumab. L'intensità del trattamento chemioterapico impatta sulla possibilità di resezione chirurgica? E a che prezzo?
Gruenberger T, et al. Bevacizumab plus mFOLFOX-6 or FOLFOXIRI in patients with initially unresectable liver metastases from colorectal cancer: the OLIVIA multinational randomised phase II trial. Ann Oncol 2014, epub ahead of print Dec 23.
Nei pianificare la strategia terapeutica per pazienti con neoplasia colorettale e malattia limitata al fegato (25-30% dei pazienti con malattia avanzata) è fondamentale un iniziale confronto multidisciplinare per valutare quale sia l'obiettivo del trattamento e quali siano le migliori opzioni.
Vi sono tuttavia dei nodi ancora non completamente superati:
1) una chiara definizione della resecabilità (o non resecabilità) delle lesioni epatiche
2) la scelta del miglior regime di induzione da adottare (anche in base alla biologia molecolare) e della sua intensità
3) quale sia il miglior endpoint degli studi clinici condotti in questo setting (tasso di resezione? sopravvivenza libera da ricaduta? overall survival?)
4) la confrontabilità dei risultati degli studi disponibili considerata la alta selezione dei pazienti inclusi
In questo panorama si inseriscono i risultati dello studio internazionale OLIVIA, un piccolo trial di fase 2 randomizzato che ha valutato il tasso di resezione overall (R0, R1, R2) in pazienti con malattia colorettale metastatica ma limitata al fegato giudicati non suscettibili di una chirurgia resettiva upfront secondo criteri prespecificati.
I pazienti, per essere inclusi, dovevano rispettare almeno uno di questi tre criteri: non receabilità R0/R1 upfront, stima di parenchima epatico sano residuo postresezione inferiore al 30%, malattia a contatto con i vasi.
I pazienti erano randomizzati a bevacizumab + FOLFOX ovvero bevacizumab + FOLFOXIRI.
Tra gli endpoints secondari dello studio ricordiamo il tasso di risposta, il tempo alla risposta, la risposta istopatologica, la sopravvivenza overall e la safety. I pazienti erano valutati con una stadiazione basale con TC o RMN con contrasto ed una PET-TC per escludere malattia extraepatica.
80 pazienti sono stati inclusi nello studio, 44 dei quali (25 nel braccio con tripletta e 19 in quello con doppietta) sono poi stati indirizzati a chirurgia di salvataggio.
Come atteso, il tasso di risposta è stato superiore nei pazienti esposti a tripletta e antiangiogenico: 81% vs 61%.
Ciò ha portato ad un maggiore tasso di resezione overall nel braccio di trattamento a intensità maggiore (61% vs 49%), con un numero raddoppiato di resezioni R0 (49% vs 23%), ed un prolungamento della PFS mediana (18.6 mesi e 11.5 mesi, rispettivamente).
Il tasso di risposta istopatologica non pareva differente nei due bracci di trattamento.
Il trattamento a maggiore intensità si è dimostrato clinicamente piuù impegnativo. Le più frequenti tossicità di grado 3/4 erano la diarrea (30% nel braccio con FOLFOXIRI, 14% in quello con FOLFOX), la neutropenia (50% e 35%, rispettivamente) e la neutropenia febbrile (13% e 8% rispettivamente).
In linea con i dati dello studio TRIBE, condotto nella popolazione con malattia avanzata, lo studio OLIVIA dimostra come la scelta di un regime a maggiore intensità (FOLFOXIRI e bevacizumab) possa essere di vantaggio anche per pazienti CRC con malattia limitata al fegato. Il trattamento, infatti, produce un alto tasso di risposta, una buona possibilità di resezione radicale ed una tossicità non proibitiva. Tuttavia, rimane aperta la scelta del biologico da preferire nel paziente con selezione molecolare estesa (RAS, BRAF).