Un report targato MD Anderson analizza i risultati della radioterapia a intensità modulata (IMRT) in pazienti con colangiocarcinoma intraepatico non resecabile. L’applicazione della nuova tecnica particolarmente promettente. Ma prima, sempre necessaria un’aperta discussione multidisciplinare.
Un report targato MD Anderson analizza i risultati della radioterapia a intensità modulata (IMRT) in pazienti con colangiocarcinoma intraepatico non resecabile. L’applicazione della nuova tecnica particolarmente promettente. Ma prima, sempre necessaria un’aperta discussione multidisciplinare.
Tao R, et al. Ablative Radiotherapy Doses Lead to a Substantial Prolongation of Survival in Patients With Inoperable Intrahepatic Cholangiocarcinoma: A Retrospective Dose Response Analysis. J Clin Oncol 2015, epub ahead of print 26 Oct.
Nel trattamento del colangiocarcinoma intraepatico non resecabile, lo standard terapeutico rimane la combinazione di cisplatino e gemcitabina (Valle J, N Engl J Med). Sebbene il ruolo della radioterapia (eventualmente in combinazione alla chemioterapia) rimanga controverso nei pazienti con malattia avanzata, l’esperienza prospettica di vari centri sembra suggerire che alcuni pazienti esclusi dalla chirurgia possano beneficiare di un “consolidamento” ottenuto con un trattamento locoregionale.
La Intensity Modulated Radiation Therapy (IMRT) rappresenta un’avanzata tecnica di radioterapia oncologica, prevede la possibilità di adeguare la distribuzione della dose terapeutica alla configurazione geometrica della massa tumorale, preservando i tessuti sani adiacenti dall’effetto attinico e riducendo quindi la probabilità di complicanze. La conformazione dei fasci adattata al tumore e la rapida caduta della dose alla sua periferia permettono inoltre di erogare al bersaglio una dose complessiva più elevata rispetto alla radioterapia 3D conformazionale, traducendosi in un aumento della probabilità di controllo locale.
Nella applicazione di questa complessa tecnica è necessario conoscere il PTV (planning target volume) e il GTV (gross tumor volume), tali indici consentono di conoscere la corretta pianificazione del trattamento e di poterlo confrontare in differenti casistiche.
Lo studio retrospettivo dell’MD Anderson condotto dal 2010 al 2014 e recentemente pubblicato sul J Clin Oncol ha incluso 79 pazienti con colangiocarcinoma intraepatico non candidabili a chirurgia e trattati con tecnica IMRT. E’ stato previsto un simultaneo boost integrato e simultanea protezione integrata per limitare l’irradiazione delle pareti gastriche e degli organi viciniori. L’applicazione ha consentito di erogare una dose complessiva di 75-100 Gy in 25 frazioni al centro della neoplasia, limitando l’esposizione delle pareti gastriche a una dose inferiore ai 45 Gy. Da notare che tutti i pazienti avevano una diagnosi istologica pretrattamento.
L’età mediana dei pazienti inclusi era di 63 anni (range 31-87) il PS secondo ECOG era 0 nel 47% dei casi, 1 nel 47% e 2 nel 6%. La dimensione mediana della neoplasia intraepatica era di circa 8 cm (range 2.2-17); in tutti i casi la malattia era non resecabile e nel 60% dei casi definita in stadio IV.
Il GTV mediano era di 200 cm cubici, il PTV mediano di 550 cm cubici.
Dopo l’iniziale chemioterapia (somministrata nel 90% dei casi in assenza di controindicazioni mediche), 60 pazienti hanno ricevuto una dose equivalente biologica (DBE) mediana inferiore agli 80.5 Gy, gli altri 19 hanno invece ricevuto una dose più elevata.
A un follow-up mediano di 33 mesi (range 11-93), la sopravvivenza mediana riportata è stata di 30 mesi, con un rate di sopravvivenza a 3 anni di poco superiore al 40%. La durata mediana del controllo locale della malattia è stata di circa 2 anni dopo la radioterapia.
L’aver ricevuto una dose radiante maggiore impattava favorevolmente sia sulla sopravvivenza a 3 anni (73% in chi riceveva DBE mediana > 80.5 Gy vs 38% in chi riceveva DBE mediana inferiore, p=0.017) che sul controllo locale di malattia a 3 anni (78% vs 45%, p=0.009).
La tolleranza al trattamento è stata complessivamente buona, con pochi eventi avversi da mettere in relazione con una tossicità attinica a livello gastrico, colecistico o epatobiliare. Va segnalato che entro 90 giorni dal trattamento sono stati ricoverati 5 pazienti (2 per colangite su stent, 1 per sanguinamento gastrointestinale, 1 per polmonite attinica, 1 per progressione di malattia).
Con i limiti intrinseci di un’analisi retrospettiva monocentrica (in particolare quelli legati alla selezione dei pazienti), lo studio offre alcuni interessanti spunti di riflessione.
La radioterapia a intensità modulata permette di somministrare dosi piuùù elevate (fino a 100 Gy), di ottenere un prolungato controllo locale di malattia e di offrire una chance di sopravvivenza a lungo termine per pazienti con colangiocarcinoma intraepatico non candidati alla resezione chirurgica. Certamente, la complessità della tecnica deve prevedere un adeguato tempo di programmazione ai radioterapisti e di confezionamento del piano ai fisici sanitari.
In un’oncologia moderna, la radioterapia deve essere valutata come possibile parte integrante del programma terapeutico del colangiocarcinoma e il radioterapista deve necessariamente entrare a fare parte del team di discussione multidisciplinare del paziente con neoplasia delle vie biliari, assieme (almeno) all’oncologo, al gastroenterologo e al chirurgo.
La pubblicazione supporta la necessità di uno studio clinico prospettico randomizzato per verificare se la RT ad alte dosi con tecnica specifica possa aggiungere beneficio alla sola chemioterapia sistemica (lo studio NRG-GI001 promosso dalla RTOG è in corso).
Un plauso agli autori dell'MD Anderson Cancer Center, ma rimane un dubbio "editoriale": se questo stesso report fosse stato scritto da giovani promettenti di una radioterapia italiana sarebbe mai stato accettato sul J Clin Oncol?