Pubblicati su Lancet i risultati dello studio RESORCE che documenta l'efficacia di regorafenib in pazienti con HCC avanzato in progressione a sorafenib. Il primo agente target efficace in seconda linea saprà aprire una strada di speranza? Due giovani italiani tra i coautori.
Bruix J, et al. Regorafenib for patients with hepatocellular carcinoma who progressed on sorafenib treatment (RESORCE): a randomized, double-blind, placebo-controlled, phase 3 trial. Lancet 2016; epub Dec 5.
Sembra finito il periodo di pessimismo cosmico, quello in cui nel trattamento del carcinoma epatocellulare nulla sembrava funzionare in prima o in seconda linea (tranne sorafenib).
Una impietosa analtisi di Llovet (Clin Cancer Res 2014, vedi tweet del 20-4-2014) additava come potenziali cause dei ripetuti fallimenti degli studi randomizzati la tossicità epatica delle molecole testate (sunitinib), la loro insufficiente attività in studi di fase II (erlotinib), il difetto nel disegno degli studi e soprattutto una modesta comprensione delle pathways driver della patologia.
Alla fine di un decennio che ha visto cadere uno dopo l'altro sunitinib, erlotinib, brivanib, linifanib e molti altri, si affaccia all'orizzonte regorafenib, molecola multitarget di efficacia già dimostrata nel carcinoma colorettale pretrattato (studi CORRECT e CONCUR) e nel GIST (studio GRID).
Lo studio di fase 3 RESORCE con una randomizzazione 2:1 si proponeva di testare in doppio cieco regorafenib alla dose di 160 mg/die gg 1-21 q28 vs placebo in pazienti esposti a sorafenib con buona tolleranza (dose di almeno 400 mg/die ai precedenti cicli) che fossero progrediti durante il trattamento e conservassero una classe A di Child-Pugh.
Fattori di stratificazione erano la regione geografica di provenienza, il PS secondo ECOG, la presenza di invasione macrovascolare, la malattia extraepatica e il livello basale di AFP. Come atteso in uno studio di seconda linea, endpoint primario era la sopravvivenza overall analizzata secondo ITT.
Nello studio sono stati randomizzati 573 pazienti, 379 a regorafenib e 193 a placebo.
I pazienti inclusi avevano età mediana di 63 anni, sesso maschile in quasi il 90% dei casi, PS ECOG di 1 in un terzo dei soggetti inclusi. Da notare che mentre Child-Pugh A era riportata nel 98% dei casi, oltre l'85% dei pazienti in entrambi i bracci aveva uno stage BCLC pari a C.
Il braccio trattato con regorafenib riportava un vantaggio in OS mediana di quasi 3 mesi (10.6 mesi vs 7.8 mesi, HR 0.63, 95%CI 0.50-0.79, p<0.0001) con una durata mediana di trattamento doppia rispetto al placebo (circa 4 mesi vs circa 2) ed un profilo di tossicità complessivamente accettabile.
Gli effetti collaterali treatment-emergent di grado elevato più significativi sono stati:
- ipertensione 15% nel braccio regorafenib vs 5% in quello placebo
- HFSR 13% vs 1%
- fatigue 9% vs 5%
- diarrea 3% vs 0%
Anche la PFS mediana, documentata secondo criteri RECIST era nettamente a vantaggio dei pazienti che ricevevano il farmaco orale mutitarget (3.1 mesi vs 1.5 mesi, HR 0.46, 95%CI 0.37-0.56, p<0.0001).
Dopo una collezione di sconfitte, finalmente una vittoria significativa per i pazienti con epatocarcinoma avanzato. Regorafenib, molecola simile nel disegno a quella del predecessore sorafenib, dimostra efficacia in pazienti pretrattati e si propone come nuovo standard terapeutico di seconda linea in questa difficile patologia. Ora che ci aspetta: una squadra su cui costruire il futuro o un derby alla Bayer Arena?
E i nostri complimenti ai due giovani autori italiani co-autori dell'importante pubblicazione.