Uno trial randomizzato di fase III dimostra l'efficacia del camrelizumab (PD-1 inibitore) nel trattamento di pazienti con carcinoma esofageo squamoso in progressione dopo terapia con platino. Arriverà in Europa l'ESCORT cinese?
Huang J, et al. Camrelizumab versus investigator's choice of chemotherapy as second-line therapy for advanced or metastatic oesophageal squamous cell carcinoma (ESCORT): a multicentre, randomised, open-label, phase 3 study. Lancet Oncol 2020, epub May 13.
La chemioterapia di seconda linea per pazienti con carcinoma squamoso esofageo in stadio localmente avanzato o metastatico è da considerarsi individualizzata e di norma viene proposta a meno della metà dei pazienti dopo la progressione da un aprima linea contenente platino e fluorouracile. Infatti, come riconosciuto nelle LG AIOM 2019 sulla patologia specifica, non esiste uno standard terapeutico universale. Qualora le condizioni cliniche lo consentano, può essere proposta una monoterapia con taxani o irinotecan (che tuttavia ha una evidenza limitata) e tale terapia è di norma riservata agli individui con meno di 75 anni.
Il camrelizumab (SH-1210) è un potente inibitore di PD-1 completamente umanizzato, che ha dimostrato attività in studi di fase I/II verso una vasta serie di neoplasie.
Nota l'efficacia dell'immunoterapia nella patologia maligna con istotipo squamoso (vedasi trial ATTRACTION-3 e KEYNOTE 181) - particolarmente frequente in Cina - lo studio orientale testa nel trial prospettico di fase III R ESCORT l'efficacia del camrelizumab (flat dose ev di 200 mg ogni 14 gg) versus una terapia di seconda linea a scelta dell'investigatore (docetaxel trisettimanale a 76 mg/mq ovvero irinotecan bisettimanale a 180 mg/mq).
La randomizazzione era 1:1 e l'endopoint prmario del trial era la sopravvivenza overall, valutata in tutti i pazienti inclusi e trattati con almeno una dose di farmaco. Tra gli endpoint secondari ricordiamo la PFS, il tasso di risposta obiettiva secondo criteri RECIST e la misura della QoL (con questionari EORTC QLQ-C30 e QLQ-OES18).
In circa 14 mesi sono stati randomizzati oltre 450 pazienti (229 nel braccio sperimentale e 228 in quello standard); poichè 1 paziente assegnato al camrelizumab e 8 pazienti assegnati alla terapia di seconda linea non hanno mai ricevuto il trattamento, l'analisi finale si è fondata su 448 pazienti totali.
L'età mediana dei pazienti inclusi era di 60 anni, 80% aveva PS 1 e il 90% erano di sesso maschile. L'espressione immunoistochimica di PD-1 era inferiore al 1% in oltre il 55% dei pazienti e inferiore a 5% nell'80%. La quasi totalità dei soggetti randomizzati aveva ricevuto in predenza una terapia a base di platino; la metà era stata operata sul T e nel 65% dei casi era stata somministrata anche terapia radiante.
Il trial ha raggiunto il suo obiettivo con un aumento della sopravvivenza mediana di circa due mesi. Median OS era di 8.3 mesi nel braccio sperimentale vs 6.2 mesi in quello standard (HR 0.71, 95%CI 0.57-0.87, p=0.001); il vantaggio in sopravvivenza era confermato in tutti i sottogruppi testati.
Sebbene le risposte complete fossero aneddotiche (1%), la probabilità di RP era anche maggiore nel braccio sperimentale (20% con carelizumab vs 6% con la chemioterapia). Inoltre, si è evidenziato un vantaggio nella QoL dei pazienti trattati, sia con i questionari generali che con quelli specifici di patologia d'organo.
Lo studio dimostra la superiorità in efficacia del camrelizumab in questo difficile setting vs la chemioterapia (almeno nella popolazione cinese). Inoltre, il dato in sopravvivenza, affiancandosi a quello del nivolumab dimostrato nell'ATTRACTION-3 (m OS 10.9 mesi vs 8.4, HR 0.77 vs chemioterapia) e del pembrolizumab nella coorte cinese del KEYNOTE-181 (mOS 8.4 mesi vs 5.6, HR 0.55 vs chemioterapia) e del PD-L1 inibitore avelumab nei trial JAVELIN, conferma la strategia dell'immunoterapia in questa patologia. Ci si potrebbe dilungare in raffinati discorsi metodologici e clinici sulla analisi dei dati in dipendenza dell'espressione di PD-1 o del CPS score, ma limitiamoci a notare che oggi l'evidenza disponibile viene globalmente resa più solida. Rimane tuttavia da stabilire in quale linea debba essere preferibile l'uso dell'immunoterapia - ancora non approvata in Europa - e, con i futuri dati, quale sia il miglior partner da associare.
Tra gli effetti collaterali, interessante notare la frequenza della proliferazione endoteliale reattiva dei capillari cutanei (RCCEP), una risposta immune specifica osservata in molti pazienti trattati con camrelizumab, rapidamente reversibile con la sospensione del farmaco e già studiata nei pazienti trattati per HCC con la possibilità di poter predire la risposta al trattamento (Wang F, et al. J Hematol Oncol 2020).