Il trial randomizzato GO2 testa una chemioterapia standard somministrata a intensità ridotta a pazienti con carcinoma gastroesofageo avanzato considerati fragili per età o condizioni cliniche. La migliore tolleranza farà perdere terreno in termini di oucome?
Hall PS, et al. Efficacy of Reduced-Intensity Chemotherapy With Oxaliplatin and Capecitabine on Quality of Life and Cancer Control Among Older and Frail Patients With Advanced Gastroesophageal Cancer. JAMA Oncol 2021, epub May 13
Conviene optare per una terapia a dose ridotta per assicurare una buona tolleranza ovvero insistere con un trattamento a dose piena perseguendo l'obiettivo di massimizzare il risultato finale?
Questa è una domanda che spesso ci si pone nella pratica clinica quando di fronte a noi siede un paziente considerato fragile (per motivi anagrafici, di PS, di comorbidità, ecc....) o che esprima il desiderio di una terapia senza troppi effetti collaterali.
Da questo quesito muove le basi il trial accademico inglese, che si pone anche un secondo quesito riguardo l'efficacia di una formale valutazione geriatrica nell'assistere il clinico al momento della decisione.
Nell'epoca in cui lo studio era stato disegnato gli standard di cura di prima linea nel setting avanzato erano EOX per la malattia HER2 negativa (basato sul risultato del trial REAL2) e la combinazione di platino, fluoro e trastuzumab per la malattia HER2 positiva (basato sui risultati del TOGA).
Il criterio chiave di selezione alla terapia "light" era il giudizio dell'oncologo che, qualora avesse giudicato il paziente fragile, poteva proporgli l'ingresso nello studio di chemiointensità. I bracci di trattamento erano tre: livello A (con oxaliplatino a 130 mg/mq e capecitabina 625 mg/mq bid gg1-14 q21) ovvero livelli B e C che prevedevano una riduzione di dose rispettivamente del 20 e del 40%. Qualora paziente e medico concordassero sull'opzione della sola terapia di supporto, vi era la possibilità di randomizzazione tra sola BSC ovvero BSC + livello C.
Interessante il fatto che per valultare l'efficacia di una dose inferiore la misura dell'endpoint principale è stata concordata da un panel misto di clinici, metodologi e pazienti: si stabiliva la non inferiorità del braccio con dosi ridotte vs la dose piena se la "perdita" in PFS mediana fosse stata inferiore ai 34 giorni (PFS HR 1.34); nella parte di studio che verificava differenza tra BSC e chemioterapia a livello C endpoint principale era invece la sopravvivenza overall.
L'esperienza del paziente era anche misurata con una scala di Overall Treatment Utility (OTU), un endpoint composto che ombina efficacia, tossicità, QoL e value/accettabilità da parte del paziente.
Oltre 500 pazienti hanno aderito alla sperimentazione: 170 sono stati randomizzati nel livello A, 171 nel livello B, 173 nel livello C; tra i pazienti candidati a terapia di supporto la randomizzazione è stata tra sola BSC (22) ovvero BSC e livello C (23).
Indipendentemnente dal braccio di allocazione, la maggior parte dei pazienti inclusi avevano ECOG PS 1-2 (85%), fragilità severa misurata con il Frailty Score (60%), perdita di peso (55%) ed età mediana 76 anni.
I risultati, presentati come ITT, sono molto interessanti:
La non inferiorità in PFS è stata confermata sia per il livello B (vs A) che per il livello C (vs A), rispettivamente con HR 1.09 (95%CI 0.89-1.32) e HR 1.10 (95%CI 0.90-1.33); nessun sottogruppo di pazienti si è chiaramente beneficiato del trattamento a più alte dosi proposto nel livello A. La proporzione di soggetti che ricevevano una terapia di seconda linea era attorno al 15%, senza differenze tra i tre bracci.
Il livello C ha prodotto meno tossicità e migliore OTU se comparato al livello A, con un inferire numero di riduzioni di dose, eventi tossici o interruzioni della terapia. Da notare che solo il 30% dei pazienti assegnati al livello A sono stati in grado di ricevere tre cicli di terapia senza riduzioni di dose o rinvii; nel livello C sono stati il doppio.
La sola BSC si è confermata scelta meno efficace di una chemioterapia a dose ridotta, producendo una mediana di sopravvivenza dimezzata (3 mesi vs 6.1 mesi), sebbene il limitato numero di pazienti inclusi in questa parte del trial non abbia reso i risultati significativi dal punto di vista statistico (HR 0.69, 95%CI 0.32-1.48, p=0.34).
Ancora una volta il pragmatismo inglese fa centro e offre uno spunto importante per la pratica clinica. Il trial GO2 dimostra che nei pazienti fragili con malattia gastroesofagea avanzata l'idea di iniziare con una dose ridotta sia pienamente condivisibile. Del trattamento ottimale per questi pazienti, in effetti, abbiamo poche informazioni in quanto spesso sono esclusi dai trial global condotti in questo setting.
La terapia "light" quindi preserva la qualità di vita, si associa a meno tossicità e al contempo offre risultati molto paragonabili in termini di outcome (PFS e OS).
Naturalmente il risultato deve essere inserito in un contesto in continuo movimento: da un lato la possibilità di associare moderni farmaci biologici nelle varie fasi della malattia avanzata, dall'altro il maggiore numero di pazienti anziani che riceve linee di terapia successiva (in UK 15%, in Italia circa il 50%) e inoltre la crescente attenzione alle terapie simultanee di supporto. Interessante anche nel disegno del trial la discussione che - nell'ottica di un pieno engagement nella cura attiva - ha coinvolto anche i pazienti nello stabilire la soglia accettabile per definire la noninferiorità di un trattamento a intensità ridotta.
Catturare la complessità della fragilità di un paziente con aspettativa di vita limitatata non è certamente semplice. Rimane in effetti da stabilire come essere meno soggettivi nel giudicare inizialmente tale fragilità, utilizzando al meglio le scale di valutazione geriatrica e i tools disponibili. Tra questi il Gastric Life Nomogram (Pietrantonio F, et al. Oncology 2018).