Stabilita l'efficacia della terapia trimodale con lo schema CROSS per pazienti con carcinoma esofageo, il trial NRG Oncology - RTOG 1010 valuta la potenziale efficacia di implementare la strategia aggiungendo trastuzumab nei pazienti con malattia HER2 positiva.
Safran HP, Winter K, Ilson DH, Wigle D, DiPetrillo T, Haddock MG, Hong TS, Leichman LP, Rajdev L, Resnick M, Kachnic LA, Seaward S, Mamon H, Diaz Pardo DA, Anderson CM, Shen X, Sharma AK, Katz AW, Salo J, Leonard KL, Moughan J, Crane CH. Trastuzumab with trimodality treatment for oesophageal adenocarcinoma with HER2 overexpression (NRG Oncology/RTOG 1010): a multicentre, randomised, phase 3 trial. Lancet Oncol 2022 Jan 14, epub ahead of print.
Sebbene la terapia trimodale proposta con lo schema CROSS (combinazione di chemioterapia con carboplatino e taxolo, radioterapia 50.4 Gy in 28 frazioni e successiva chirurgia radicale) abbia migliorato l'outcome di pazienti con neoplasia esofagea localizzata rispetto al solo trattamento chirurgico (Van Hagen P, et al N Engl J Med 2012 e Shapiro J, et al. Lancet Oncol 2015), la maggior parte dei pazienti presenta una recidiva locale o sistemica di malattia.
Tra le strade per migliorare i risultati a lungo termine, si sono quindi seguiti due filoni: 1) implementare il trattamento postoperatorio in caso di malattia residua ovvero 2) intensificare il trattamento preoperatorio.
Del secondo filone fa parte lo studio CheckMate 577 che ha visto il risultato positivo per l'uso di nivolumab vs placebo in pazienti con maalttia residua dopo terapia trimodale (Kelly RJ, et al. N Engl J Med 2021).
Del primo filone fa invece parte lo studio che oggi presentiamo, un trial di fase III randomizzato condotto in nordamerica nel quale pazienti con malattia esofagea loccalmente avanzata HER2 positiva hanno ricevuto prima e dopo la chirurgia anche il trattamento con trastuzumab alla classica dose di 2 mg/Kg/settimana. Tra i criteri di eleggibilità c'era la stadiazione di T1, N1-2 ovvero T2-3, N0-2, buon performance status e discreta funzionalità d'organo. Endpoint primario della sperimentazione era la DFS nella popolazione ITT, definita come il tempo tra la random e il primo evento di ricaduta (locale o sistemica), seconda neoplasia o decesso del paziente.
Dopo avere screenato circa 600 pazienti, nel trial ne sono stati randomizzati poco meno di 200 (98 nel braccio sperimentale vs 96 in quello standard), la gran parte dei quali avevano stadiazione basale T3 (80%) e N+ (N1 50% circa, N2 20% circa). I dati sono stati pubblicati dopo un follow-up mediano di circa 3 anni.
Ma DFS mediana è stata di 19.6 mesi nel braccio sperimentale (95%CI 13.5-26.2) vs 14.2 mesi in quello standard (95%CI 10.5-23) e sebbene fosse numericamente maggiore non era differente in termini statistici (HR 0.99, 95%CI 0.71-1.39).
L'utilizzo del trastuzumab non ha portato ad un significativo incremento di tossicità clinicamente rilevanti, né ad un maggior numero di complicanze postchirurgiche, né a un eccesso di morti tossiche (5% ne braccio sperimentale vs 3% in quello standard).
Lo studio è formalmente negativo, non avendo centrato il primary endpoint e la combinazione trimodale dello schema CROSS rimane quindi lo standard di riferimento.
Molte sono le possibili spiegazioni del fallimento del trial, che spaziano tra le ipotesi biologiche (resistenza primaria o secondaria, mancanza di retesting per HER alla PD), quelle metodologiche (mancanza di mascheramento e revisione centralizzata dell'imaging) e quelle cliniche. Tuttavia non è certo la prima volta che l'inibizione di HER2 - alemno quella con farmaci "classici" - delude in oncologia gastrointestinale.
Si rimane tuttavia in attesa dei risultati finali del trial PETRARCA e INNOVATE che associano in setting perioperatorio la combinazione di tarstuzumab e pertuzumab al trattamento convenzionale, includendo anche pazienti con adenocarcinoma della giunzione gastroesofagea. E, per curiosità, che succederebbe se in questo setting si sperimentase il trastuzumab deruxtecan, con o senza immunoterapia?