Un importante studio (retrospettivo) condotto su 17.000 pazienti sembra riportare in auge il ruolo della radioterapia dopo chirurgia radicale e chemioterapia adiuvante.
Moaven O, et al. Optimal Adjuvant Treatment Approach After Upfront Resection of Pancreatic Cancer: Revisiting the Role of Radiation Based on Pathologic Features. Ann Surg 2020, epub ahead of print
Una volta ancora, lo studio nordamericano recentemente pubblicato su Ann Surgery offre l'opportunità di ridiscutere il ruolo della radioterapia nella patologia pancreatica.
Negli ultimi due anni, confermato il notevole beneficio del potenziamento della chemioterapia postoperatoria con FOLFIRINOX o con la combinazione di capecitabina e gemcitabina, sembrava il beneficio assoluto incrementale offerto dal trattamento radiante fosse marginale.
In effetti, lo standard del trattamento postoperatorio per pazienti fit si è modificato rapidamente. Il trial ESPAC-4 - nonostante le critiche metodologiche e di selezione a cui è stato soggetto - ha portato l'evidenza di come un trattamento di combinazione sia in grado di migliorare le performance della sola gemcitabina (vantaggio in OS mediana di circa 3 mesi, aumento della RFS a 5 anni da 12 a 18.5% e della OS a 5 anni da 16 a 29%). Inoltre, lo studio ACCORD/PRODIGE 24 ha anche dimostrato un aumento statisticamente significativo della DFS mediana (21.6 vs 12.8 mesi, HR 0.58) e della OS mediana (35 vs 55 mesi, HR 0.65). Tali vantaggi sembrabvano rendere poco utile un successivo trattamento radiante.
Lo studio recentemente pubblicato, condotto su dati estratti da 1500 centri acreditati, ha arruolato quasi 17.000 pazienti che hanno ricevuto (65%) o meno (35%) un trattamento adiuvante che poteva essere chemioterapico, radioterapico o una combinazione dei due. La terapia antiblastica postopertaoria era avviata entro 180 giorni dalla chirurgia.
Endpoint primario dello studio era la OS. Per stabilire l'effetto della radioterapia è stata usata un'analisi Propensity Score.
Oltre 8.300 pazienti con almeno una caratteristica patologica di rischio - linfonodi positivi, margini infiltrati o invasione linfovascolare - che avevano ricevuto chemioterapia o chemioRT sono stati matchati con altrettanti casi con simili caratteristiche. Lo stesso è stato fatto per pazienti senza fattori di rischio all'esame istologico.
Mentre il beneficio incrementale della radioterapia sembra trascurabile in pazienti senza caratteristiche istologiche di rischio (le curve di OS sono appaiate nei primi 36 mesi; OS mediana 42.7 mesi vs 52.7 mesi, HR 0.90, p=0.25), si nota un beneficio - modesto ma significativo e costante nel tempo - se la radioterapia è offerta in combinazione alla chemioterapia a pazienti radicalmente operati ma con fattori di rischio istologici (mOS 21 vs 25 mesi, HR 0.81, 95%CI 0-75-1.03, p<0.0001).
Lo studio è interessante nel suo disegno (sebbene retrospettivo) e ha certamente una numerosità molto convincente.
Tuttavia, considerato che pochissimi di questi pazienti avevano ricevuto chemioterapia di combinazione moderna, rimangono dubbi sul ruolo della radioterapia in questo setting (perlatro i dubbi sono immutati dai tempi dell'ESPAC-1).
Poichè i pazienti con fattori di rischio (N+, R1) sono anche quelli che all'analisi multivariata del trial PRODIGE sembrano maggiormente beneficiare di FOLFIRINOX, si dovrà attendere il risultato dei trial prospettici che testano le moderne tecniche di radioterapia conformazionale dopo una chemioterapia di combinazione somminsitrata per sei mesi, se possibile assieme al supporto nutrizionale e psicologico del paziente. A meno che, nel frattempo, la terapia preoperatoria non prenda definitivamente il sopravvento...