Patologia gastrointestinale
Venerdì, 15 Febbraio 2019

Tumore delle vie biliari: è possibile migliorare i risultati della chirurgia?

A cura di Giuseppe Aprile

L'evidenza a favore della terapia adiuvante per pazienti operati di carcinoma delle vie biliari rimane fragile. Lo studio PRODIGE12 -ACCORD 18 testa in questo setting la combinazione di gemcitabina e oxaliplatino. Un nuovo standard?

Edeline J, et al. Gemcitabine and Oxaliplatin Chemotherapy or Surveillance in Resected Biliary Tract Cancer (PRODIGE 12-ACCORD 18-UNICANCER GI): A Randomized Phase III Study. J Clin Oncol 201, epub Feb 1st ahead of print 

Rimane un obietivo difficile da ottenere quello di aumentare la chance di guarigione per pazienti resecati da neoplasia delle vie biliari. Fino ad ora, la maggiore evidenza a favore del trattamento postoperatorio era costituita dalla metanalisi di Horgan [J Clin Oncol 2012], che dimostrava vantaggio per il trattamento postoperatorio per pazienti con linfonodi positivi ovvero residuo postchirurgico R1. Sebbene costituisse la più accettata evidenza, questa metananalisi era limitata da molti bias: raccoglieva studi condotti nell'arco di 30 anni, largamente eterogenei, con pochi pazienti inclusi in ogni trial (da 1 a 120) e con regimi chemioterapici differenti, a volte associati alla radioterapia.

Negli ultimi tre anni sono stati presentati i risultati di quattro studi randomizzati che potrebbero aggiungere nuova evidenza allo scenario: il trial PRODIGE 12 - ACCORD 18 (GEMOX vs osservazione), lo studio BCAT (gemcitabina vs osservazione), il trial orientale KHBO (gemcitabina vs S-1) e lo studio BILCAP (capecitabina vs osservazione).

Il disegno dello studio francese, recentemente pubblicato, prevedeva la randomizzazione 1:1 tra la combinazione di gemcitabina e oxaliplatino vs osservazione in pazienti radicalmente resecati per carcinoma delle vie biliari [intraepatico, extraepatico o della colecisti], con chirurgia R0 o R1, ECOG PS inferiore a 2, e adeguata funzionalità d'organo. La randomizzazione era prevista entro tre mesi dalla chirurgia. Nel braccio di sola osservazione era prevista la ripteizione di esami ematochimici e radiologici a cadenza trimestrale nei primi due anni, poi semestrale; i criteri di stratificazione erano la sede della patologia primitiva, la presenza di interessamento linfonodale e il centro di provenineza. Endpoint primari dello studio erano la sopravvivenza senza recidiva [RFS] e la health-related QOL.

 

In poco più di  anni sono stati inclusi 196 pazienti nel trial=, si tenga conto che hanno partecipato allo studio 33 centri, con un rate mediano inferiore a 2 pazienti/anno per centro. I pazienti inclusi nei due bracci del trial erano ben bilanciati per caratteristiche prognostiche.

I risultati, presentati dopo un follow-up mediano di poco inferiore ai 4 anni sono chiari: non vi è evidenza di vantaggio per chi riceve la chemioterpia adiuvante di combinazione.

Sebbene la mediana di RFS fosse numericamente a vantaggio del trattamento (mRFS 30.4 mesi VS 18.5 mesi), HR era 0.88, 95%CI 0.62-1.25, P=0.48. Inoltre, non era differnte il tempo a deterioramento della qualità di vita (32 mesi in entrambi i bracci di trattamento) né in termini di sopravvvenza overall (HR 1.08, 95%CI 0.70-1.66).

Ancora una volta, l'analisi mutivariata suggeriva un potenziale maggior vantaggio del trattamento adiuvante nelle categorie di pazienti con maggiore rischio di recidiva: quelli con residuo postchirurgico R1, con linfonodi positivi, con invasione microvascolare e con Ca 19.9 basale elevato. 

 

Una volta ancora, migliorare l'outcome di questa patologia si conferma essere un compito difficilissimo e il maggiore fattore prognostico per la chance di guarigione rimane il chirurgo esperto.

Lo studio dimostra che la chemioterapia adiuvante con GEMOX dopo chirurgia radicale impatti poco sull'outcome complessivo, sebbene alcuni pazienti con fattori di rischio possano essere considerati candidati potenziali al trattamento. I dati, quindi, non concordano con quelli dello studio BILCAP - al momento non ancora pubblicati in extenso - che invece indicano un vantaggio in RFS e OS per il trattamento con capecitabina vs osservazione. Va tuttavia ricordato che nello studio BILCAP i pazienti R1 erano il triplo di quelli inclusi nello studio francese e i pazienti con interessamento linfonodale il 50% in più.

La questione rimane aperta, quindi, in attesa di avere le definitive pubblicazioni dei trial randomizzati già conclusi.

Nel frattempo, le più approfondite conoscenze molecolari dei tumori delle vie biliari (ES: mutazioni di KRAS e BRAF, espressione di IDH1, amplificazioni di FGFR1-3...) potranno aprire la strada a terapie personalizzate anche in setting adiuvante, come anche previsto nello studio MOSCATO-01.