Paziente radicalmente operato per neoplasia delle vie biliari. Che fare dopo la chirurgia? Mentre una recente metanalisi sancisce l'inefficacia della gemcitabina in questo setting, il vantaggio dell'utilizzo della capecitabina postoperatoria testata nel trial BILCAP sembra confermato anche a lungo termine.
Bridgewater J, Fletcher P, Palmer DH, Malik HZ, Prasad R, Mirza D, Anthony A, Corrie P, Falk S, Finch-Jones M, Wasan H, Ross P, Wall L, Wadsley J, Evans TR, Stocken D, Stubbs C, Praseedom R, Ma YT, Davidson B, Neoptolemos J, Iveson T, Cunningham D, Garden OJ, Valle JW, Primrose J; BILCAP study group. Long-Term Outcomes and Exploratory Analyses of the Randomized Phase III BILCAP Study. J Clin Oncol. 2022 Mar 22:JCO2102568. doi: 10.1200/JCO.21.02568. Epub ahead of print.
Di certo parliamo di una patologia ancora oggi rara e di difficile trattamento, nonostante (almeno per le neoplasie biliari localizzate in sede intraepatica) vi sono stati recenti importanti sviluppi garzie all'individuazione di multipli target actionable. Anche nei casi di malattia resecabile, limitati a non oltre un terzo dei pazienti, la chance di recidiva è elevata e la sopravvivenza a lungo termine inferiore al 30%.
In questo non semplice contesto si calano i dati dello studio inglese BILCAP, pubblicato in forma estesa tre anni fa (Primrose JN, et al. Capecitabine compared with observation in resected biliary tract cancer (BILCAP): a randomised, controlled, multicentre, phase 3 study. Lancet Oncol 2019).
Sebbene lo studio fosse formalmente negativo, non potendo sancire la superiore efficacia statistica del trattamento adiuvante rispetto alla sola osservazione nella popolazione intention-to-treat (endpoint primario del trial), il vantaggio in OS nella popolazione per-protocol, l'ottima tolleranza al trattamento e la sostanziale assenza di alternative terapeutiche ha convinto molti oncologi a considerare la terapia dopo la resezione radicale.
L'analisi recentemente pubblicata sul J Clin Oncol riporta i dati a lungo termine della sperimentazione che ha arruolato 450 pazienti, dopo un follow up mediano di 106 mesi.
Con un follow-up prolungato (certamente sufficiente a catturare la maggior parte degli eventi), rimane confermato il vantaggio numerico ma non statisticamente significativo in sopravvivenza overall nella popolazione ITT. La OS mediana è stata di quasi 50 mesi nel braccio sperimentale (95%CI 35.1-59.1) vs 36 mesi in quello di sola osservazione (95%CI 29.7-44.2), HR 0.84, 95%CI 0.67-1.06.
Tuttavia, una volta corrette le analisi per fattori prognostici nella popolazione per-protocol (N, grading, genere), il vantaggio numerico diveniva anche statisticamente significatico (HR 0.74, 95%CI 0.59-0.94), in particolare per pazienti con tumore a grading elevato.
Le analisi a lungo termine del trial BILCAP confermano che la terapia postoperatoria con capecitabina offre un potenziale vantaggio in sopravvivenza nel paziente radicalmente operato, almeno nella analisi per-protocol.
Questo dato - calato in un momento storico nel quale la gemcitabina sembra definitivamente uscita di scena (Edeline J, et al. Individual patient data meta-analysis of adjuvant gemcitabine-based chemotherapy for biliary tract cancer: combined analysis of the BCAT and PRODIGE-12 studies. Eur J Cancer 2022) - è stato sufficiente per convincere molti oncologi a considerare l'opportunità di prescrivere il trattamento e l'ASCO ad inserire la terapia come potenziale gold-standard.
Le linee guida AIOM (su questo punto un poco datate), suggeriscono di prendere in considerazione l'impiego della fluoropirimidina orale in questo setting, con una forza di raccomandazione positiva debole ed una qualità dell'evidenza moderata.
Quindi, per ritornare al titolo del tweet, terapia adiuvante si o no?
Certamente l'opzione va considerata nei pazienti con maggiore rischio di ricaduta e con caratteristiche sovrapponibili a quelle dei soggetti arruolati nello studio, anche se la prima opzione in questo setting rimane sempre la partecipazione ad un trial clinico (es: trial ACTICCA-01 al quale hanno partecipato anche centri italiani affiliati al GONO). Una recente survey lanciata da AIOM e da FICOG nell'ambito del "Progetto per l’identificazione delle caratteristiche dei Centri clinici impegnati nelle sperimentazioni cliniche in Italia" mira proprio a scattare un'istantanea del panorama nazionale postpandemico e ad aiutare i nostri pazienti ad avere accesso a terapie innovative.