Razionale preclinico molto solido. Selezione per amplificazione genica di FGFR2. Lo sviluppo di AZD4547, inibitore specifico del recettore. Tutto sembrava andare dalla parte giusta e invece i risultati del trial confirmatorio (SHINE) sono deludenti. Dopo l’inibizione di HER-2, nessun passo avanti.
Van Cutsem E, et al. A randomized, open-label study of the efficacy and safety of AZD4547 monotherapy versus paclitaxel for the treatment of advanced gastric adenocarcinoma with FGFR2 polysomy or gene amplification. Ann Oncol 2017, epub ahead of print.
E’ noto la deregolazione del FGF signalling sia coinvolta nella patogenesi di diverse neoplasie solide e ematologiche (Turner N, et al. Nat Rev cancers 2010). Il 10% dei pazienti con neoplasia gastrica o della giunzione gastroesofagea è noto avere polisomia o amplificazione genica del Fibroblast Growth Factor Receptor 2 (FGFR2), che conferisce una prognosi sfavorevole per una maggiore aggressività biologica con prevalenza di istotipo diffuso (Deng, et al. Gut 2012), sebene l’amplificazione sia riportata con maggiore frequenza nel sottotipo molecolare CIN di TCGA. L’inibizione farmacologica di linee cellulari tumorali con amplificazione di FGFR – dove è presente un signalling indipendente dal ligando - ha portato a risultati molto interessanti. Ad esempio, AZD4547 ha dimostrato una potente inibizione di crescita di linee cellulari o modelli xenograft con amplificazione di FGFR.
Il trial randomizzato di fase II SHINE muove da queste basi e si propone di testare la molecola comparandola al paclitaxel in pazienti pretrattati.
La definizione di amplificazione (determinata in FISH) era la seguente: FGFR2/Spectrum Green-labeled centromero del cromosoma 10 (CEN10) ratio ≥2 o FGFR2 gene clusters in ≥10% delle cellule tumorali; quella della polisomia era: alta se FGFR2/CEN10 ratio <2 e ≥4 copie di FGFR2 in ≥40% delle cellule tumorali ovvero bassa se FGFR2/CEN10 ratio <2 e ≥4 copie di FGFR2 nel 10–39% delle cellule tumorali.
La schedula di trattamento prevedeva la somministrazione di AZD alla dose orale di 80 mg bid per 2 settimane consecutive ogni 3; quella di paclitaxel era invece una infusione endovenosa alla dose di 80 mg/mq per 3 settimane ogni 4.
Era prevista l’assegnazione al trattamento sperimentale con una randomizzazione 3:2 in caso di FGFR amplificazione ovvero 1:1 in caso di polisomia.
Endpoint primario dello studio era la PFS, con una ristadiazione radiologica secondo criteri RECIST, programmata ogni 8 settimane.
In totale, 71 pazienti sono stati inclusi nella sperimentazione clinica (41 hanno ricevuto FGFR2-inibitore vs 40 chemioterapia standard).
La PFS mediana (endpoint primario dello studio) è stata inferiore ai 2 mesi nel braccio sperimentale e 3.5 mesi in quello tradizionale.
Si noti che la PFS mediana ottenuta nel braccio trattato con chemioterapia è esattamente pari all’atteso (quindi va esclusa la possibilità di una performance migliore per sbilanciamento).
Non si è registrata invece una differenza sostanziale in termini di effetti collaterali al trattamento nei due bracci.
Il trial è negativo e probabilmente chiude le porte allo sviluppo della molecola. Possibile l’eterogeneità intratumorale della amplificazione e la scarsa concordanza tra amplificazione genica o polisomia con l’espressione della molecola siano in parte responsabili della disfatta, che da sfiducia sulla possibile selezione molecolare del paziente con neoplasia gastrica avanzata a cui offrire un trattamento target.
E ora, che piega prenderanno gli studi che testano nella patologia gastrica altri inibitori di FGFR2 (dovitinib, ponatinib, S49076, saracatinib…)?
Ma soprattutto: dobbiamo arrenderci, ammettere che nel carcinoma dello stomaco il tempo della target therapy volge al tramonto, e puntare tutto sull’immunoterapia?