Pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio LITESPARK-005: una differenza significativa in sopravvivenza libera da progressione e in risposte obiettive, non in termini di sopravvivenza globale, rispetto ad everolimus. Le nuove linee guida ESMO già includono il farmaco come trattamento di scelta nei pazienti pretrattati con immunoterapia e con un farmaco antiangiogenico.
Choueiri TK, Powles T, Peltola K, de Velasco G, Burotto M, Suarez C, Ghatalia P, Iacovelli R, Lam ET, Verzoni E, Gümüş M, Stadler WM, Kollmannsberger C, Melichar B, Venugopal B, Gross-Goupil M, Poprach A, De Santis M, Schutz FA, Park SH, Nosov DA, Porta C, Lee JL, Garcia-Del-Muro X, Biscaldi E, Manneh Kopp R, Oya M, He L, Wang A, Perini RF, Vickery D, Albiges L, Rini B; LITESPARK-005 Investigators. Belzutifan versus Everolimus for Advanced Renal-Cell Carcinoma. N Engl J Med. 2024 Aug 22;391(8):710-721. doi: 10.1056/NEJMoa2313906. PMID: 39167807.
La perdita di funzione del gene VHL e la conseguente attivazione costitutiva del fattore inducibile dall’ipossia 2α (HIF-2α) rappresenta un noto evento oncogenico nello sviluppo del carcinoma renale a cellule chiare. Belzutifan, un farmaco di nuova generazione, inibitore di seconda generazione del HIF-2α, si era già dimostrato attivo e sicuro in studi di fase 1 in pazienti pretrattati con carcinoma renale a cellule chiare avanzato.
Peraltro, il farmaco aveva già guadagnato le pagine del New England Journal of Medicine per aver dimostrato attività nei casi di carcinoma renale a cellule chiare insorto nel contesto della sindrome di von Hippel Lindau (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34818478/). Il farmaco è stato quindi sviluppato anche nei pazienti con tumore del rene avanzato, indipendentemente dalla sindrome.
Lo studio di fase III LITESPARK-005, appena pubblicato sulle pagine del New England Journal of Medicine, condotto sperimentando il farmaco come agente singolo in pazienti pretrattati, era multicentrico e condotto in aperto.
Lo studio prevedeva l’inclusione di pazienti affetti da carcinoma a cellule chiare del rene avanzato, che avessero precedentemente ricevuto terapia con immune checkpoint inhibitors e con farmaci antiangiogenici.
Lo studio prevedeva la randomizzazione, in rapporto 1:1, a belzutifan, alla dose di 120 mg al giorno, per via orale (braccio sperimentale) oppure everolimus alla dose di 10 mg al giorno per via orale. I trattamenti venivano continuati fino a progressione o tossicità inaccettabile.
Lo studio prevedeva due endpoint primari: la sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS) e la sopravvivenza globale (overall survival, OS). Tra gli endpoint secondari c’era la proporzione di risposte obiettive (complete o parziali).
Complessivamente, 374 pazienti sono stati randomizzati al braccio sperimentale (belzutifan) e 372 sono stati randomizzati al braccio di controllo (everolimus).
La prima analisi ad interim, condotta dopo un follow-up mediano pari a 18.4 mesi, la sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata simile nei 2 bracci (5.6 mesi sia con belzutifan che con everolimus). Gli autori descrivono la proporzione di pazienti liberi da progressione a 18 mesi, che è risultata migliore con il belzutifan (24.0%) rispetto all’everolimus (8.3%). La differenza tra I due bracci in termini di sopravvivenza libera da progressione è risultata statisticamente significativa, superando la soglia predefinita dal protocollo per l’interpretazione del risultato dell’analisi ad interim (p=0.002).
Una risposta obiettiva confermata è stata riportata nel 21.9% dei pazienti nel braccio trattato con belzutifan (intervallo di confidenza al 95% 17.8 – 26.5) e nel 3.5% dei pazienti nel braccio trattato con everolimus (intervallo di confidenza al 95% 1.9 – 5.9). Tale differenza è risultata statisticamente significativa (p<0.001).
Alla seconda analisi ad interim, condotta dopo un follow-up mediano di 25.7 mesi, la sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 21.4 mesi nel braccio sperimentale trattato con belzutifan e pari a 18.1 mesi nel braccio di controllo trattato con everolimus. A 18 mesi dalla randomizzazione, era vivo rispettivamente il 55.2% e il 50.6% dei pazienti (hazard ratio 0.88, intervallo di confidenza al 95% 0.73 – 1.07, p=0.20).
Eventi avversi di grado 3 o peggiore, indipendentemente dalla relazione causale con il trattamento, sono stati riportati nel 61.8% dei pazienti trattati con belzutifan (con 3.5% di eventi avversi letali) e nel 62.5% dei pazienti trattati con everolimus (con un 5.3% di eventi letali). Gli eventi avversi hanno portato all’interruzione definitiva del trattamento nel 5.9% dei pazienti trattati con belzutifan e nel 14.7% dei pazienti trattati con everolimus.
Nel lavoro è presentata l’analisi dei patient-reported outcomes, che ha evidenziato un vantaggio per il belzutifan in termini di tempo al deterioramento dei sintomi e della qualità di vita globale.
Sulla base dei risultati sintetizzati sopra, gli autori sottolineano che il belzutifan ha dimostrato un beneficio significativo rispetto all’everolimus, in termini di sopravvivenza libera da progressione e di risposte obiettive, in pazienti che avessero già ricevuto un trattamento con farmaci immunoterapici e antiangiogenici.
Il risultato è sicuramente deludente in termini di PFS mediana, praticamente identica nei 2 bracci: il vantaggio in PFS si concretizza nella coda delle curve, con una maggiore probabilità di essere liberi da progressione a 18 mesi. L’altro endpoint primario dello studio, la sopravvivenza globale, dopo due analisi ad interim non ha evidenziato alcun beneficio significativo. Nel complesso, quindi, il risultato è interessante ma è difficile considerarlo “breakthrough” vista la dimensione del beneficio e la mancata dimostrazione di superiorità in aspettativa di vita, pur trattandosi di una popolazione ampiamente pretrattata in cui i trattamenti successivi non dovrebbero ragionevolmente mascherare un chiaro beneficio a favore del trattamento sperimentale, se ci fosse.
Il braccio di controllo con everolimus è da considerarsi adeguato o, per continuare la metafora pugilistica di questo tweet, è da considerarsi uno “sparring partner” contro cui si può vincere facile? Gli autori affrontano questo tema nella discussione del lavoro, difendendo la scelta e ribadendo che, alla luce dei trattamenti già ricevuti dai pazienti randomizzati, everolimus era da considerare un trattamento accettabile, e quindi un braccio di controllo ottimale. I pazienti avevano ricevuto un numero mediano di linee precedenti pari a 2, e quasi la metà ne aveva ricevute 3 o più, con più di un farmaco antiangiogenico. Come detto, questo “va a supporto” dell’accettabilità di everolimus come braccio di controllo, ma al tempo stesso crea disappunto per la mancata dimostrazione di beneficio in sopravvivenza globale, che pure in fase di disegno dello studio era stato giudicato (giustamente) rilevante per l’interpretazione del risultato, essendo endpoint primario come la sopravvivenza libera da progressione.
A fine 2023, la FDA statunitense ha approvato il belzutifan per l’impiego nell’indicazione corrispondente allo studio che stiamo commentando. In Italia il farmaco non è ancora rimborsato. Le linee guida ESMO, nell’edizione aggiornata al 2024, hanno inserito il belzutifan come trattamento di scelta nei pazienti che abbiano già ricevuto sia un’immunoterapia che un farmaco antiangiogenico.