Pazienti con carcinoma renale avanzato. Un inibitore orale multitarget. La più lunga sopravvivenza senza progressione mai riportata in un setting di seconda linea. Ecco i risultati dello studio METEOR, presentato in orale a Vienna all’ESMO 2015 e simultaneamente pubblicato in esteso sul N Engl J Med.
Choueiri TK, et al.  Cabozantinib versus Everolimus in Advanced Renal-Cell Carcinoma. N Engl J Med 2015, epub ahead of print Sep 25.
Studi clinici randomizzati hanno dimostrato come la terapia con anticorpi monoclonali anti VEGF (bevacizumab) o inibitori antiangiogenici orali (sunitinib, sorafenib, pazopanib e axitinib) producano ottimi risultati clinici nel trattamento del carcinoma renale avanzato. In particolare, sorafenib e axitinib sono stati testati in un setting di seconda linea, dopo il fallimento di precedenti terapie antiangiogeniche.
Cabozantinib è un farmaco orale con azione inibitoria su VEGFR, MET e AXL già approvato nel carcinoma midollare della tiroide pretrattato e in utilizzo nei pazienti con carcinoma prostatico resistente alla castrazione ormonale.
VEGF, MET e AXL possono essere up-regolati in pazienti con carcinoma renale avanzato in seguito all’inattivazione di VHL, conferendo una maggiore aggressività biologica alla neoplasia e costituendo un meccanismo di resistenza agli antiangiogenici.
L’everolimus, un inibitore orale di mTOR somministrato alla dose di 10 mg/die, ha dimostrato di essere superiore al placebo in un trial randomizzato di fase III che arruolava pazienti con carcinoma renale in progressione a terapia antiangiogenica (Motzer RJ, et al. Lancet 2008).
Queste le premesse dello studio METEOR, un trial di fase 3 che ha arruolato pazienti con carcinoma renale avanzato con pretrattati con almeno una terapia antiangiogenica (non era precluso il precedente trattamento con citochine, chemioterapia o immunomodulatori) a ricevere cabozantinib (60 mg/die) vs everolimus (10 mg/die) con l’obiettivo principale di verificare la superiorità in termini di sopravvivenza libera da progressione (PFS) del trattamento sperimentale.
Tra i criteri di inclusione ricordiamo anche la necessità di avere un buon performance status (KPS di almeno 70) e la malattia misurabile.
L’endpoint primario dello studio era valutato nei primi 375 pazienti randomizzati. Il trial, tuttavia, aveva una potenza adeguata anche per valutare differenze in termini di sopravvivenza overall (OS), arruolando oltre 650 pazienti.
Fattori di stratificazione erano il numero di trattamenti antiangiogenici precedentemente ricevuti (1 vs 2 o più) e la categoria di rischio secondo i criteri prognostici del MSKCC (favorevole, intermedio, sfavorevole).
Le caratteristiche dei pazienti arruolati, ben bilanciate nei bracci di trattamento, erano le seguenti: età mediana di poco superiore ai 60 anni, sesso maschile 75%, PS ottimale 70%, categoria prognostica sfavorevole 15%, precedente nefrectomia 85%, precedente trattamento con una sola linea di antiangiogenico 70%, precedente trattamento con nivolumab 5%.
Il trattamento con cabozantinib ha dimostrato:
La tolleranza al trattamento è stata in linea con quella attesa e ben gestita con le riduzioni di dose consentite dal protocollo. Seppur sia stato registrato il 60% di riduzioni di dose nei pazienti assegnati al braccio sperimentale vs il 25% in quelli esposti a everolimus, la percentuale di pazienti che terminavano il trattamento a causa degli effetti collaterali era simile nei due bracci dello studio (10% vs 9%).
Tra gli effetti collaterali di grado 3 o 4 più frequentemente riportati nel braccio sperimentale ricordiamo l'ipertensione (15%), la diarrea (11%) e la fatigue (9%).
Nella “settimana del rene” Oncotwitting presenta un altro successo della ricerca.
Toni Choueiri e i coautori dello studio METEOR study hanno sottolineato come i 7.4 mesi ottenuti con cabozantinib costituiscano la più lunga sopravvivenza libera da progressione mai riportata in uno studio randomizzato in pazienti pretrattati, comparandola ai 3.9 mesi ottenuti con everolimus nel RECORD-1, ai 4.8 mesi ottenuti con axitinib e ai 3.4 mesi ottenuti con sorafenib nello studio AXIS.
Le curve di sopravvivenza overall, certamente molto interessanti (33% di riduzione del rischio di morte), sono comunque immature e al momento non consentono di trarre una conclusione definitiva.