Patologia genito-urinaria
Giovedì, 04 Marzo 2021
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Carcinoma del rene avanzato: le combinazioni di TKI e immunoterapia continuano a stupire

A cura di Giuseppe Aprile

Dopo la pubblicazione del CLEAR - che ha definito l'associazione di lenvatinib e pembrolizumab come uno tra i nuovi riferimenti terapeutici - è ora la volta del trial CheckMate 9ER che ha testato nivolumab e cabozantinib in pazienti con carcinoma renale avanzato. 

Choueiri TK, et al, CheckMate 9ER Investigators. Nivolumab plus Cabozantinib versus Sunitinib for Advanced Renal-Cell Carcinoma. N Engl J Med. 2021 Mar 4;384(9):829-841. doi: 10.1056/NEJMoa2026982.

Il panorama terapeutico della malattia renale diventa sempre più articolato e, insieme, sempre più affascinante. La recentissima pubblicazione dello studio CheckMate 9ER segue a pochi mesi di distanza la presentazione orale dei dati ad ESMO 2020 e arricchisce ulteriormente le future possibili scelte in prima linea.
 
Entrambe le molecole testate (nivolumab e cabozantinib) sono attive nel carcinoma renale avanzato; entrambe inoltre hanno singolarmente dimostrato di essere superiori rispetto al solo sunitinib o all'inibitore di mTOR (vedi studi CheckMate 025, CABOSUN e METEOR) e, nota la loro sinergia in studi preclinici e trial clinici precoci, difficile immaginare potessero deludere quando utilizzate in combinazione.
 
Il trial CheckMate 9ER è uno studio di fase III randomizzato, open-label, che ha arruolato oltre 650 pazienti con neoplasia renale avanzata a cellule chiare e KPS superiore a 60 a ricevere la combinazione di nivolumab (240 mg ev ogni due settimane ) + cabozantinib (40 mg/die) ovvero sunitinib a dosi standard (50 mg/die per 4 settimane ogni 6). Endpoint primario dello studio era la PFS con revisione indipendente dell'imaging radiologico, in analogia ad altri trial che hanno testato differenti combinazioni in una simile popolazione.
 
Endpoint secondari erano la sopravvivenza overall, il tasso di risposte obiettive e la safety.
I dati sono stato pubblicati dopo un follow-up mediano di circa 18 mesi.

Nei pazienti trattati con la combinazione cabozantinib e nivolumab, la mediana di sopravvivenza libera da progressione (PFS), endpoint primario dello studio, è raddoppiata rispetto ai pazienti che hanno ricevuto solo sunitinib: 16.6 mesi rispetto a 8.3 mesi (HR 0.51, 95%CI 0.41–0.64, p < 0.0001). Inoltre, il tasso di sopravvivenza a 12 mesi era incrementato del 10% in valore assoluto (86% vs 76%) e la doppietta ha ridotto il rischio di morte del 40% rispetto al solo sunitinib (HR 0.60, 98.89%CI: 0.40–0.89, p= 0.0010; con OS mediana non raggiunta in entrambi i bracci dello studio).

Nel braccio sperimentale si è anche registrato un più alto tasso di risposta obiettiva, con il doppio dei pazienti in risposta rispetto a sunitinib (56% vs. 27%); l’8% dei pazienti rispetto al 5% ha ottenuto una risposta completa. Cabozantinib in combinazione con nivolumab è associato ad una maggiore durata della risposta paragonato a sunitinib, con una durata mediana di 20.2 mesi rispetto a 11.5 mesi. Inoltre, i pazienti trattati con la combinazione hanno presentato un tasso di interruzione del trattamento inferiore rispetto a sunitinib (44.4% vs. 71.3%), e in particolare un tasso di interruzione per progressione di malattia significativamente più basso rispetto a sunitinib (27.8% vs 48.1%).

Le analisi multivariate hanno dimostrato che i risultati di efficacia ed attività erano coerentemente confermati in tutti sottogruppi pre-specificati, in tutte  le categorie di rischio secondo IMDC e indipendentemente dalla espressione di PD-L1.

Come ultima nota segnaliamo che l'analisi esploratoria riguardante la health-related QoL ha dimostrato una migliore qualità di vita per i soggetti assegnati al braccio sperimentale.

Nuovo traguardo raggiunto e nuovo successo nella terapia dei pazienti con carcinoma renale clear-cell.
 
Il messaggio di questo importante studio è semplice: l'utilizzo upfront di cabozantinib in combinazione a nivolumab è più efficace del solo sunitinib.
L'associazione produce una sopravvivenza globale superiore rispetto a quella  riportata nel braccio standard e raddoppia la mediana di sopravvivenza libera da progressione e il tasso di risposte obiettive, con un profilo di sicurezza favorevole.

Da notare che i benefici in efficacia sono stati osservati in tutti i sottogruppi di pazienti, comprese le categorie di rischio secondo l’International Metastatic Renal Cell Carcinoma Database Consortium e l'espressione di PD-L1.

Come molto ben commentato nel tweet relativo allo studio CLEAR - a cui poco possiamo aggiungere - il paziente con carcinoma renale è da poco al centro di una terza rivoluzione copernicana (combinazione con immunoterapia) che segue a quelle legate prima dall'introduzione dei TKI e delle loro sequenze (2007-2012) e poi dall'utilizzo dei moderni TKI di terza generazione (2015-2016). 

Sono ora disponibili solidi dati scientifici di almeno sei differenti possibilità di trattamento in prima linea che combinano le strategie di immunoterapia, TKI e antiangiogenesi (nivolumab + cabozantinib; nivolumab + ipilimumab; pembrolizumab + axitinib; atezolizumab + bevacizumab; avelumab + axitinib, lenvatinib + pembrolizumab) tra cui poter scegliere, ma verosimilmente la combinazione di nivolumab e cabozantinib si confronterà con quella di pembrolizumab e lenvatinib per contendersi il podio della più utilizzata.

In assenza di confronti diretti, certamente la futura ricerca dovrà chiarire quali siano i candidati ideali all'una o all'altra combinazione, anche in base al profilo di tossicità della doppietta scelta e di altri fattori predittivi (espressione di PD-L1, TMB, profilo di espressione genica, sottotipo molecolare, TILs, microbioma, caratteristiche cliniche quali il BMI basale, ecc...). 

Non solo, ma oltre all'approfondimento dei possibili fattori predittivi di risposta all'immunoterapia sarà anche imprescindibile studiare con pari impegno da un lato gli "exceptional responders", il 15% dei pazienti che hanno uno straordinario beneficio in sopravvivenza a lungo termine (sono guariti?) e dall'altro i "poor responders", stimati attorno al 15%, che riportano una rapida progressione come migliore risposta. Lo sforzo della ricerca accademica sarà importante per capire quanto a lungo debbano essere trattati i primi, per evitare le tossicità a lungo termine di un trattamento costoso, e per trovare valide terapie alternative da proporre ai secondi, evitando loro una terapia per nulla efficace.