Lo studio STAMPEDE consente di confrontare la qualità di vita dei pazienti con tumore della prostata ormono-sensibile che hanno ricevuto docetaxel o abiraterone. I risultati sono interessanti, ma per l’Italia rimangono accademici, non essendo possibile prescrivere terapia ormonale di nuova generazione in questo setting.
Rush HL, Murphy L, Morgans AK, Clarke NW, Cook AD, Attard G, Macnair A, Dearnaley DP, Parker CC, Russell JM, Gillessen S, Matheson D, Millman R, Brawley CD, Pugh C, Tanguay JS, Jones RJ, Wagstaff J, Rudman S, O'Sullivan JM, Gale J, Birtle A, Protheroe A, Gray E, Perna C, Tolan S, McPhail N, Malik ZI, Vengalil S, Fackrell D, Hoskin P, Sydes MR, Chowdhury S, Gilbert DC, Parmar MKB, James ND, Langley RE. Quality of Life in Men With Prostate Cancer Randomly Allocated to Receive Docetaxel or Abiraterone in the STAMPEDE Trial. J Clin Oncol. 2021 Nov 10:JCO2100728. doi: 10.1200/JCO.21.00728. Epub ahead of print. PMID: 34757812.
Da alcuni anni, le prospettive terapeutiche per i pazienti affetti da carcinoma della prostata metastatico ormono-sensibile, per i quali fino a qualche anno fa il trattamento coincideva con la terapia di deprivazione androgenica, si sono arricchite grazie alla dimostrazione di efficacia (in termini di prolungamento della sopravvivenza) sia con l’aggiunta della chemioterapia con docetaxel, sia con l’aggiunta di agenti ormonali di nuova generazione. Tra questi ultimi, il primo a dimostrare un beneficio significativo in questo setting è stato l’abiraterone acetato.
Sia per il docetaxel che per l’abiraterone, un’evidenza importante è venuta dai risultati dello studio randomizzato STAMPEDE, disegnato e condotto con un approccio “platform” in base al quale, negli anni, diversi bracci sperimentali (tra cui appunto quello che prevedeva l’aggiunta del docetaxel e quello che prevedeva l’aggiunta dell’abiraterone) si sono confrontati con il braccio standard, vale a dire con la sola terapia di deprivazione androgenica.
Pur non essendo stato concepito e dimensionato per un confronto diretto tra docetaxel e abiraterone, nello studio STAMPEDE, in una specifica finestra temporale (tra il 2011 ed il 2013) erano contemporaneamente aperti sia il braccio con docetaxel che il braccio con abiraterone, e questo consente quindi un’analisi “testa a testa” molto interessante, visto che non esistono, ad oggi, studi specificamente disegnati per un confronto diretto tra queste opzioni. Il confronto è certamente di grande interesse, in quanto si tratta di 2 approcci molto diversi per modalità di somministrazione, tollerabilità e durata del trattamento.
Quando esistano, in una medesima indicazione terapeutica, 2 terapie dalle caratteristiche diverse, potenzialmente di pari efficacia, il confronto in termini di qualità di vita assume una grande rilevanza per le scelte.
L’analisi recentemente pubblicata dal Journal of Clinical Oncology, che era stata già presentata nel 2020 a congresso, ci consente appunto di vedere i risultati dell’analisi di qualità di vita dello studio STAMPEDE, per l’appunto focalizzati sul confronto tra ADT + docetaxel e ADT + abiraterone.
Tra tutti i pazienti randomizzati al braccio di controllo o a uno dei suddetti bracci sperimentali nella finestra temporale in cui erano aperti contemporaneamente, l’analisi ha considerato eleggibili quelli che avessero compilato almeno un questionario di qualità d vita. Nel dettaglio, il protocollo prevedeva la compilazione del questionario EORTC QLQ-C30 (core) e del modulo specifico per la prostata PR25.
L’outcome primario del confronto tra docetaxel e abiraterone era la differenza in qualità di vita globale, che come noto si basa sulla conversione in una scala da 0 (peggiore qualità di vita possibile) a 100 (migliore qualità di vita possibile) delle domande 29 e 30 del questionario EORTC C30. Il confronto è stato condotto sull’arco dei primi 2 anni dalla randomizzazione.
Gli autori avevano predefinito, sia per la global QoL che per gli altri items e domini presi in considerazione come outcomes secondari nell’analisi (scale funzionali, dolore, fatigue), una soglia di rilevanza clinica, che nel caso della global QoL corrispondeva a 4 punti.
Gli autori hanno previsto la descrizione della compliance ai vari tempi previsti per la compilazione, esplicitando la percentuale di questionari attesi (al netto dei pazienti troncati in quanto avevano interrotto il trattamento per progressione di malattia) e la percentuale di questionari effettivamente compilati rispetto a quelli attesi.
L’analisi include 515 pazienti (173 trattati con docetaxel in aggiunta all’ADT e 342 trattati con abiraterone in aggiunta all’ADT).
Le caratteristiche basali dei pazienti inseriti nei diversi bracci erano simili: poco più di meta erano pazienti metastatici alla diagnosi, e una minoranza di pazienti aveva una malattia localmente avanzata non metastatica. I punteggi basali di qualità di vita globale sono risultati simili nel braccio di docetaxel (punteggio medio basale 77.8) e nel braccio di abiraterone (punteggio medio basale 78.0).
La percentuale di questionari mancanti, rispetto a quelli attesi, è risultata leggermente superiore con il docetaxel.
Nell’arco dei 2 anni successivi alla randomizzazione, i punteggi medi di qualità di vita globale sono risultati superiori per i pazienti trattati con abiraterone rispetto a quelli che ricevevano docetaxel (+3.9 punti, intervallo di confidenza al 95% +0.5 - +7.2; p= 0.022).
Le differenze tra i 2 trattamenti, in qualità di vita globale, sono risultate più marcate (a favore del trattamento con abiraterone rispetto al docetaxel) nel corso del primo anno (+5.7 punti, intervallo di confidenza al 95% +3.0 - +8.5; p value < 0.001), in particolare a 12 settimane (+7.0 punti, intervallo di confidenza al 95% +3.0 - +11.0; p value= 0.001) e a 24 settimane (+8.3 punti, intervallo di confidenza al 95% +4.0 - +12.6; p value < 0.001).
Le analisi di sottogruppo hanno evidenziato un andamento simile per i punteggi di qualità di vita globale sia nei pazienti con malattia metastatica che nei pazienti con malattia non metastatica, con un andamento peggiore per il docetaxel in particolare nel primo anno, seguito da un graduale recupero a valori simili a quelli registrati con abiraterone.
L’analisi degli altri domini e items ha evidenziato un punteggio favorevole per i casi trattati con abiraterone, rispetto al docetaxel, in alcune scale funzionali (in particolare physical functioning, role functioning e social functioning), nonché in termini di dolore e di fatigue.
Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che il confronto tra l’aggiunta del docetaxel e l’aggiunta dell’abiraterone alla terapia di deprivazione androgenica produce, in termini di qualità di vita, risultati migliori con la terapia ormonale rispetto alla chemioterapia.
L’analisi dell’intero periodo dei 2 anni ha evidenziato una differenza che, nel complesso, non supera la soglia di rilevanza clinica precedentemente definita, ma l’andamento nel tempo è chiaramente eterogeneo, con un andamento della qualità di vita significativamente peggiore con il docetaxel nel primo anno (e in particolare nei primi mesi), seguito da un graduale recupero.
In assenza di studi disegnati per un confronto diretto tra la chemioterapia e la terapia ormonale di nuova generazione nel setting di malattia ormonosensibile, questi risultati dello studio STAMPEDE aggiungono un tassello molto interessante alle evidenze disponibili.
L’analisi pubblicata nel lavoro del Journal of Clinical Oncology è condotta in maniera metodologicamente corretta, e gli autori discutono esplicitamente alcuni aspetti molto rilevanti nelle analisi di qualità di vita, come la gestione dei dati mancanti e la rilevanza clinica delle differenze evidenziate.
Per quanto riguarda i dati mancanti, è importante sottolineare che, alla luce del risultato osservato (che evidenzia una peggiore qualità di vita con docetaxel), tale risultato non dovrebbe essere condizionato dai dati mancanti, che in realtà erano anche di più con il docetaxel rispetto all’abiraterone. Se anche assumiamo che la qualità di vita globale risulti sovrastimata dal fatto che alcuni questionari (probabilmente quelli dei pazienti che stavano male) non sono stati compilati, questo non ha impedito di evidenziare un andamento peggiore con il docetaxel. Dal momento che i dati mancanti sono di più nel braccio “peggiore”, possiamo in altre parole ritenere che il bias legato alla presenza dei dati mancanti sia conservativo: è probabile che, senza dati mancanti, la differenza avrebbe potuto essere più marcata.
Per quanto riguarda la rilevanza clinica delle differenze, gli autori discutono molto bene il problema, e in appendice è anche presente una tabella con le soglie che erano state predefinite per interpretarla. Nel complesso, le differenze medie sono medio-piccole, ma è opportuno ricordare che le differenze medie, in quanto tali, sono uno strumento di sintesi ampiamente accettabile, ma non catturano necessariamente la proporzione di pazienti con un sensibile miglioramento o peggioramento del punteggio.
A margine del commento, vale la pena di sottolineare che, al momento, il dibattito sulla scelta del miglior trattamento per i pazienti con malattia ormonosensibile rimane in Italia un dibattito accademico e non “concreto”, in quanto ad oggi (novembre 2021), il docetaxel rimane l’unica opzione rimborsata nella pratica clinica. Né l’abiraterone né altri farmaci ormonali di nuova generazione sono rimborsati dal servizio sanitario nazionale in questa indicazione, nonostante l’efficacia dimostrata nel prolungare la sopravvivenza globale e l’inserimento in linee guida internazionali, incluse quelle ESMO.