L’analisi dopo follow-up a lungo termine dello studio randomizzato UKCTOCS conferma l’assenza di beneficio per lo screening del tumore ovarico, e evidenzia che l’anticipazione diagnostica non implica necessariamente un aumento delle chance di guarigione.
Menon U,Gentry-Maharaj A, Burnell M et al. Ovarian cancer population screening and mortality after long-term follow-up in the UK Collaborative Trial of Ovarian Cancer Screening (UKCTOCS): a randomised controlled trial. Lancet. 2021; (published online May 12.)
Il tumore ovarico è ancora oggi uno dei “big killers” tra le neoplasie ginecologiche (30%) ed occupa il decimo posto tra tutti i tumori femminili (3%). Come ben spiegato da Sandro Pignata e Sabrina Cecere ne “I numeri del cancro in Italia 2020”, l’elevata mortalità associata al tumore dell’ovaio è attribuibile non solo alla sintomatologia aspecifica e tardiva, ma anche all’assenza di strategie di screening validate che consentano di effettuare una diagnosi precoce (eccetto per le donne con alterazioni dei geni BRCA1 e BRCA2).
Purtroppo, una percentuale elevata (circa il 75-80%) delle pazienti presenta al momento della diagnosi una malattia in fase avanzata (stadio FIGO III-IV) e una diagnosi di malattia in stadio iniziale, molto più rara, è spesso dovuto a riscontro incidentale in corso di controlli ginecologici.
Allo scopo di valutare l’efficacia dello screening in termini di riduzione della mortalità, è stato intrapreso un importante studio randomizzato, lo studio UK Collaborative Trial of Ovarian Cancer Screening (UKCTOCS).
Lo studio randomizzato prevedeva l’inserimento di donne in post-menopausa, di età compresa tra 50 e 74 anni, ed ha visto la partecipazione di 13 centri appartenenti al National Health Service britannico, in Inghilterra, Galles ed Irlanda del Nord.
Erano escluse donne che fossero state precedentemente sottoposte a ovariectomia bilaterale, nonché le donne che avessero avuto precedente diagnosi di un tumore ovarico o diagnosi di un’altra neoplasia attiva. Erano anche escluse le donne che, sulla base della storia familiare, fossero considerate a rischio aumentato di sviluppare un tumore ovarico.
Dettagli sul disegno dello studio sono disponibili al seguente link:
https://www.ctu.mrc.ac.uk/studies/all-studies/u/ukctocs/
Le pazienti eleggibili erano assegnate, in rapporto 1:1:2, a uno di 3 bracci:
Outcome primario dello studio era la mortalità dovuta a tumore dell’ovaio o delle tube. Le analisi sono state condotte nel rispetto dell’”intention to screen”, vale a dire considerando le pazienti nel gruppo assegnato dalla randomizzazione, indipendentemente dal rispetto del protocollo di studio.
Un precedente report dello studio non aveva evidenziato un vantaggio significativo per lo screening, ma aveva suggerito un aumento delle diagnosi in stadio precoce grazie allo screening, lasciando ipotizzare che un aumento del follow-up potesse eventualmente evidenziare un beneficio significativo anche in mortalità. La pubblicazione di Lancet riporta i risultati dello studio con un follow-up a lungo termine.
Lo studio ha visto la randomizzazione, tra il 2001 ed il 2005, di 202638 donne, sul totale di 1243282 donne a cui era stata offerta la partecipazione. Di esse, 202562 sono state incluse nell’analisi. Nel dettaglio, 50625 (pari al 25.0%) sono state assegnate allo screening con Ca125, 50623 (pari al 25.0%) sono state assegnate allo screening ecografico, e 101314 (pari al 50.0%) sono state assegnate al gruppo di controllo, che non riceveva alcun esame di screening.
Dopo un follow-up mediano di 16.3 anni, complessivamente sono state effettuate 2055 diagnosi di tumore dell’ovaio o delle tube. Il numero di tumori diagnosticati è stato del tutto sovrapponibile nei bracci dello studio. Nel dettaglio, sono stati diagnosticati 522 tumori (1.0%) nel gruppo di donne assegnate allo screening con Ca125, 517 tumori (1.0%) nel gruppo di donne assegnate allo screening ecografico, e 1016 (1.0%) nel gruppo di donne assegnate al braccio di controllo.
Rispetto al braccio di controllo, nel gruppo assegnato allo screening con Ca125 si è osservato un aumento del 47.2% (intervallo di confidenza al 95% dal 19.7% al 81.1%) nei tumori in stadio I e una diminuzione del 24.5% (intervallo di confidenza al 95% dal -41.8% al -2.0%).
Confrontando l’incidenza degli stadi I e II, questa è risultata maggiore del 39.2% (intervallo di confidenza al 95% dal 16.1% al 66.9%) nel gruppo sottoposto a screening con Ca125 rispetto al gruppo non sottoposto a screening, mentre l’incidenza degli stadi III e IV è risultata inferiore del 10.2% (intervallo di confidenza al 95% da -21.3% a -2.4%).
La mortalità è risultata identica nei 3 gruppi dello studio. Nel dettaglio, sono stati registrati 1206 decessi: 296 (pari allo 0.6%) nel gruppo sottoposto a screening con Ca125, 291 (pari allo 0.6%) nel gruppo sottoposto a screening ecografico, e 619 (pari allo 0.6%) nel gruppo di controllo.
Non è stata osservata alcuna riduzione significativa del rischio di morte per tumore dell’ovaio o delle tube nel gruppo sottoposto a screening con Ca125 (p=0.58), né nel gruppo sottoposto a screening ecografico (p=0.36) rispetto al gruppo di controllo non sottoposto a screening.
Gli autori sottolineano che purtroppo l’anticipazione diagnostica, documentata dall’incremento delle diagnosi in stadio I e dalla riduzione delle diagnosi in stadio IV, non si è tradotta in una riduzione della mortalità.
Di conseguenza, lo screeening di popolazione per il tumore dell’ovaio non è raccomandato, né con ecografia da sola né con ecografia unita al dosaggio del Ca125.
L’analisi iniziale dello studio, suggerendo un’anticipazione diagnostica in termini di distribuzione degli stadi (poi confermata dall’analisi attuale), suggeriva anche un segnale di riduzione della mortalità, sebbene non significativa, che rendeva necessaria la prosecuzione del follow-up per avere dati più solidi e definitivi che confermassero o meno il segnale iniziale di efficacia. Purtroppo il follow-up attuale, che fa di questo studio l’evidenza più importante relativa allo screening del tumore ovarico, non evidenzia alcun beneficio in mortalità.
Gli autori citano l’esistenza di un altro importante studio randomizzato, condotto negli Stati Uniti, lo studio PLCO (Prostate Lung Colorectal Ovarian cancer trial). Anche quello studio, ad un’analisi condotta dopo un follow-up mediano pari a circa 15 anni, non ha evidenziato alcuna riduzione della mortalità nel braccio sottoposto a screening rispetto al braccio di controllo.
Perché l’aumento delle diagnosi di tumori in stadio iniziale non si traduce in una riduzione della mortalità? In studi di screening condotti in altre patologie, lo screening è risultato associato a un aumento delle diagnosi di tumori piccoli, probabilmente clinicamente indolenti. In questo caso, invece, non si è osservato un aumento del numero di diagnosi, ma effettivamente una “migrazione” da stadi più avanzati a stadi più precoci. Questo non basta a ridurre la mortalità, e gli autori ipotizzano che alcuni tumori possano essere intrinsecamente a prognosi peggiore, anche se diagnosticati e trattati prima.
Giustamente nella discussione si sottolinea che molte delle pazienti che hanno ricevuto diagnosi nell’ambito dello studio sono state trattate diversi anni fa, quindi prima di alcune recenti innovazioni terapeutiche (chirurgiche e farmacologiche), ma appare improbabile ipotizzare che l’interpretazione del risultato negativo dello studio possa essere significativamente messa in discussione da questo limite.
Lo studio prevedeva peraltro la raccolta seriata di campioni di sangue per le pazienti randomizzate, e questo rappresenta l’occasione per studi che provino a identificare biomarcatori precocemente associati alla diagnosi di tumore ovarico.
Si tratta, peraltro, di un chiaro esempio di quanto anche uno studio negativo possa essere importante. Sulla base di questi risultati, lo screening per il tumore ovarico non va raccomandato, in attesa di poter sperimentare esami che potenzialmente garantiscano un’efficacia migliore rispetto all’ecografia e al dosaggio del Ca125.