Patologia genito-urinaria
Martedì, 02 Agosto 2016

CA-125 e carcinoma ovarico: è negare l'evidenza?

A cura di Fabio Puglisi

Sebbene uno studio clinico randomizzato abbia dimostrato che il dosaggio dei livelli sierici di CA-125 non è utile nel follow-up di donne con carcinoma ovarico (Rustin GJ et al, 2009), il ricorso a tale indagine è ancora molto comune nella pratica clinica. Siamo davanti a un chiaro esempio di negazione dell’evidenza scientifica?

Esselen KM, et al. Use of CA-125 Tests and Computed Tomographic Scans for Surveillance in Ovarian Cancer. JAMA Oncol 2016. [Epub ahead of print] 

 

Nel 2009, uno studio randomizzato dimostrava che l’uso del marcatore CA-125 nella sorveglianza di donne operate per carcinoma ovarico incrementa il ricorso alla chemioterapia e ha un effetto negativo sulla qualità di vita senza migliorare la sopravvivenza rispetto ai semplici controlli clinici (Rustin GJ et al, J Clin Oncol 2009; Rustin GJ et al, Lancet 2010). Le linee guida della “Society of Gynecologic Oncology” classificano il test per CA-125 come opzionale e scoraggiano dall’impiego sistematico dell’imaging radiologico per il follow-up del carcinoma ovarico.

Al fine di esaminare il trasferimento in pratica clinica di tale evidenza scientifica, uno studio ha valutato l’uso del test per CA-125 e dell’imaging con TC prima e dopo il 2009.
Popolazione dello studio: coorte prospettica di 1241 donne (età media 59 anni) con carcinoma ovarico in remissione dopo chirurgia citoriduttiva e chemioterapia, provenienti da 6 Centri oncologici designati dal National Cancer Institute.
Periodo di osservazione: gennaio 2004-dicembre 2012.
Misure di outcome:
• Uso del CA-125 e della TC, prima e dopo il 2009.
• Tempo dal raddoppiamento del CA-125 al ritrattamento, prima e dopo il 2009.
• Costi associati con le procedure di sorveglianza.

L’impiego del test per CA-125 e della TC è risultato simile durante tutto il periodo di osservazione (prima del 2009 vs dopo il 2009).
Nel corso di un anno di follow-up, l’incidenza cumulativa di pazienti sottoposte a 3 o più test per CA-125 è risultata dell’86% nel periodo 2004-2009 e del 91% nel periodo 2010-2012 (P = 0.95). Parimenti, l’incidenza cumulativa di pazienti sottoposte a >1 esame TC è stata dell’81% negli anni 2004-2009 vs 78% negli anni 2010-2012 (P = 0.50).
Nei casi in cui era stato osservato un raddoppiamento del CA-125 (n = 511), non è stata osservata alcuna differenza significativa nel tempo al ritrattamento con chemioterapia (prima del 2009 vs dopo il 2009, 2.8 vs 3.5 mesi; P = 0.40).
Nel corso di un anno di follow-up, è stata osservata una media di 4.6 valutazioni di CA-125 e di 1.7 esami TC per paziente. Per la popolazione americana sottoposta a sorveglianza, si stima che tale comportamento clinico determini un costo di circa 2 milioni di dollari/anno per il solo CA-125 e di 16 milioni di dollari/anno per l’aggiunta degli esami TC.

Malgrado non vi sia evidenza di alcun beneficio, il test per CA-125 e la sorveglianza radiologica con TC sono ancora ampiamente utilizzati in clinica.

Perché quindi adottare una pratica risultata inefficace e addirittura nociva per la qualità di vita delle pazienti? 

Sono state ipotizzate alcune possibili spiegazioni:

1. Trasferibilità subottimale dei risultati dello studio di Rustin e linee guida possibiliste riguardo all’impiego del CA-125, giudicato opzionale. Dopo una diagnosi di recidiva, molte pazienti ricevono ancora una monoterapia con platino invece che una terapia a due farmaci. Tale attitudine potrebbe aver mascherato gli effetti potenziali di un’anticipazione diagnostica favorita dal CA-125. Inoltre, durante il periodo dello studio, non erano disponibili terapie di cui oggi è stata dimostrata l’efficacia.

2. Il test per CA-125 potrebbe determinare alcuni benefici non esaminati dallo studio di Rustin:

  • Identificazione di una malattia prima che si manifestino complicanze irreversibili
  • Possibilità di un secondo tentativo di chirurgia citoriduttiva
  • Potenziale accesso a terapie innovative
  • Maggiore chance di adesione a trial clinici

Poi, c’è un fatto culturale. Gli studi clinici che supportano l’adozione di terapie o tecnologie innovative cambiano la pratica clinica più in fretta rispetto a quelli che supportano la cessazione di pratiche esistenti.