I risultati dello studio randomizzato che ha confrontato il coniugato farmaco-anticorpo con la chemioterapia in chi aveva già fallito il platino e l’immunoterapia meritano le pagine del New England Journal of Medicine: clinicamente rilevante il beneficio in sopravvivenza.
Powles T, Rosenberg JE, Sonpavde GP, Loriot Y, Durán I, Lee JL, Matsubara N, Vulsteke C, Castellano D, Wu C, Campbell M, Matsangou M, Petrylak DP. Enfortumab Vedotin in Previously Treated Advanced Urothelial Carcinoma. N Engl J Med. 2021 Feb 12. doi: 10.1056/NEJMoa2035807. Epub ahead of print. PMID: 33577729.
La prognosi dei pazienti affetti da un tumore uroteliale in stadio avanzato è purtroppo insoddisfacente, in particolare per i casi che abbiano già fallito una chemioterapia con platino che, come noto, rappresenta tuttora lo standard di trattamento di prima linea. Da qualche anno, l’immunoterapia si è dimostrata efficace ed è entrata nella pratica clinica come trattamento di seconda linea, dopo il fallimento della chemioterapia con platino.
Sicuramente l’immunoterapia ha rappresentato un’importante innovazione in questi pazienti, ma va sottolineato che l’efficacia del trattamento con immune checkpoint inhibitors non è ottimale, e sono solo una minoranza i pazienti che ottengono un beneficio di lunga durata. Al momento della progressione con il trattamento immunoterapico, nell’attuale pratica clinica, può essere presa in considerazione solo una chemioterapia con un taxano o con la vinflunina, opzioni di efficacia complessivamente modesta.
In questo scenario, si collocano gli interessanti risultati dello studio randomizzato EV-301, pubblicato a febbraio 2021 sulle pagine del New England Journal of Medicine.
Lo studio ha valutato l’efficacia di enfortumab vedotin, un coniugato farmaco – anticorpo. Nel dettaglio, la molecola è composta da un anticorpo monoclonale anti–Nectina-4, unito alla monometil auristatina E (MMAE), un farmaco che distrugge i microtubuli. L’anticorpo si lega alla Nectina-4, una molecola di adesione cellulare altamente espressa dal carcinoma uroteliale come da altri tumori solidi, viene internalizzato ed esplica l’attività citotossica a livello delle cellule tumorali.
Lo studio prevedeva l’inclusione di pazienti affetti da carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico, con performance status 0 o 1 secondo la scala ECOG. I pazienti dovevano aver ricevuto precedente chemioterapia con platino ed essere andati in progressione durante o dopo il completamento di un trattamento immunoterapico con anti-PD1 o anti-PDL1. Se la chemioterapia con platino era stata somministrata come trattamento neoadiuvante o adiuvante, il paziente doveva aver avuto recidiva di malattia entro 12 mesi dal completamento del trattamento.
Lo studio di fase III prevedeva la randomizzazione, in aperto, in rapporto 1:1.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale. Lo studio era dimensionato per garantire una potenza dell’85%, con errore alfa 0.025 a 1 coda, nel documentare un hazard ratio 0.75 a favore del trattamento sperimentale, ipotizzando una sopravvivenza globale mediana di 8 mesi nel braccio sperimentale.
L’analisi finale era pianificata dopo 439 eventi, ma il protocollo prevedeva l’esecuzione di un’analisi ad interim, da realizzarsi al 65% degli eventi previsti per l’analisi finale.
Complessivamente, lo studio ha visto la randomizzazione di 608 pazienti, dei quali 301 sono stati assegnati al braccio sperimentale (enfortumab vedotin) e 307 sono stati assegnati al braccio di chemioterapia. I pazienti avevano un’età mediana di 68 anni, e circa il 20% aveva un’età superiore a 75 anni. Più di tre quarti dei pazienti erano di sesso maschile, il 40% circa aveva ECOG performance status 0 e il rimanente 60% aveva ECOG performance status 1. Circa un terzo dei casi aveva un tumore delle alte vie, e i rimanenti due terzi avevano un tumore della vescica. L’87% dei pazienti aveva ricevuto 1 o 2 linee precedenti di terapia, il 13% aveva ricevuto 3 o più linee.
L’analisi ad interim, condotta come prespecificato nel protocollo, è stata condotta dopo la registrazione di 301 eventi (decessi), dei quali 134 nel braccio sperimentale e 167 nel braccio di controllo, con un follow-up mediano pari a 11.1 mesi.
La sopravvivenza globale è risultata significativamente migliore nel braccio sperimentale rispetto al braccio di controllo. Nel dettaglio, la sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 12.88 mesi con enfortumab vedotin e pari a 8.97 mesi con la chemioterapia (hazard ratio 0.70; intervallo di confidenza al 95% 0.56 - 0.89; p=0.001).
La sopravvivenza libera da progressione, analogamente alla sopravvivenza globale, è risultata prolungata significativamente nel braccio sperimentale (PFS mediana pari a 5.55 mesi vs. 3.71 mesi; hazard ratio 0.62; intervallo di confidenza al 95% 0.51 - 0.75; p<0.001).
La proporzione di risposte obiettive è risultata significativamente maggiore con enfortumab vedotin (40.6%) rispetto alla chemioterapia (17.9%, p<0.001).
Dal punto di vista dell’incidenza di eventi avversi legati al trattamento, la percentuale complessiva di pazienti con un qualunque evento avverso è risultata simile nei 2 bracci dello studio (93.9% con enfortumab vedotin e 91.8% con la chemioterapia). Analogamente, l’incidenza di eventi avversi di grado 3 o maggiore, di qualunque tipo, è risultata simile nei 2 gruppi (51.4% con enfortumab vedotin e 49.8% con la chemioterapia. Le tossicità severe più frequenti con enfortumab sono state il rash cutaneo, la fatigue e la neutropenia. Da segnalare anche, tra gli effetti più comunemente registrati con l’enfortumab, la neuropatia periferica e l’iperglicemia.
I dati pubblicati dal New England Journal of Medicine rappresentano un’innovazione importante per i pazienti affetti da carcinoma della vescica avanzato. L’introduzione dell’immunoterapia in questo setting è stata giustamente salutata come un rilevante avanzamento, e a distanza di poco tempo dai risultati ottenuti con i farmaci immunoterapici arriva un altro farmaco attivo ed efficace, tra l’altro in pazienti che avevano già ricevuto immunoterapia. In definitiva, la lista delle opzioni farmacologiche efficaci si allunga, e questa è sicuramente una buona notizia.
Il prolungamento della sopravvivenza mediana osservato nello studio può essere considerato clinicamente rilevante. Circa 4 mesi di incremento della mediana di sopravvivenza, con una riduzione del 30% del rischio di morte (hazard ratio 0.70), sono sicuramente al di sopra della soglia di rilevanza clinica.
Sono già numerosi gli studi in corso che stanno valutando il posizionamento di enfortumab vedotin in un setting più precoce rispetto alla terza linea oggetto dello studio EV-301. Vista la buona efficacia, è ragionevole prevedere che questa molecola, da sola o in combinazione, farà ancora parlare di sé nel tumore della vescica.
Gli autori, nella discussione del lavoro, offrono al lettore equilibrate considerazioni, da una parte sottolineando l’importanza del beneficio osservato in sopravvivenza e in termini di risposte obiettive e controllo di malattia, dall’altra ricordando che il farmaco non è privo di effetti collaterali, anche se nel complesso giudicano maneggevole la sua somministrazione.
Nel lavoro pubblicato dal NEJM non sono ancora presentati i dati di qualità di vita, che sarà interessante vedere, specialmente in quanto enfortumab vedotin, alla luce del risultato positivo ottenuto, potrebbe ragionevolmente trovare spazio nella futura pratica clinica. Come spesso abbiamo detto in situazioni simili, il dato di qualità di vita può aggiungere un tassello importante alla definizione del valore del trattamento, aiutando anche nella migliore informazione al paziente al momento della proposta terapeutica.