Una revisione sistematica con metanalisi ha quantificato l’aumento del rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti con tumore della prostata che ricevono ARSI (abiraterone, enzalutamide, darolutamide, apalutamide).
El-Taji O, Taktak S, Jones C, Brown M, Clarke N, Sachdeva A. Cardiovascular Events and Androgen Receptor Signaling Inhibitors in Advanced Prostate Cancer: A Systematic Review and Meta-Analysis. JAMA Oncol. Published online June 06, 2024. doi:10.1001/jamaoncol.2024.1549
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un grande incremento dell’impiego degli inibitori della via di segnalazione del recettore per gli androgeni (ARSI) nei pazienti con tumore della prostata. Inizialmente impiegati nella malattia metastatica resistente alla castrazione, più di recente sono stati sperimentali e poi introdotti in pratica clinica nel setting della malattia non metastatica resistente alla castrazione, nonché nella malattia metastatica ormono-sensibile.
E’ noto che il tumore della prostata è caratterizzato da un’età di presentazione mediamente avanzata, e quindi i pazienti sono mediamente caratterizzati da un’incidenza non trascurabile di patologie concomitanti, anche cardiovascolari, nonché da un rischio più elevato di eventi avversi, rispetto alla popolazione di pazienti tipicamente trattata per altre patologie.
La revisione sistematica pubblicata da JAMA Oncology a giugno 2024 ha voluto studiare il rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con l’aggiunta di un inibitore della via di segnalazione del recettore per gli androgeni, rispetto ai pazienti che negli studi clinici ricevevano la terapia di deprivazione androgenica da sola.
La revisione sistematica si pone quindi un quesito di indubbio interesse clinico, perché gli eventi cardiovascolari sono una causa rilevante di mortalità nei pazienti affetti da tumore della prostata.
Obiettivo della revisione sistematica era quello di valutare l’incidenza di eventi cardiovascolari nei pazienti trattati con l’aggiunta di ARSI alla terapia standard, rispetto alla terapia standard da sola, in pazienti affetti da tumore della prostata metastatico o localmente avanzato, sia malattia ormono-sensibile che resistente alla castrazione.
Allo scopo di identificare la letteratura rilevante, gli autori hanno eseguito una ricerca su PubMed, Scopus, Web of Science, EMBASE, e ClinicalTrials.gov, fino al maggio 2023.
Sono stati inclusi nell’analisi gli studi randomizzati che testassero l’aggiunta di un ARSI (abiraterone, apalutamide, darolutamide, enzalutamide) alla terapia standard, purché ovviamente riportassero gli eventi cardiovascolari.
L’endpoint primario dell’analisi era il confronto tra i gruppi (con e senza ARSI) in termini di eventi avversi cardiovascolari, sia di ogni grado di severità, che di grado 3 o peggiore (eventi cardiovascolari severi). In aggiunta, l’analisi ha preso in considerazione il confronto tra i gruppi in termini di ipertensione, sindrome coronarica acuta, aritmia cardiaca, eventi cerebrovascolari e tromboembolismo venoso (endpoint secondari).
L’analisi si è basata sui dati di 24 studi, per un totale di 22166 pazienti.
L’età mediana variava dai 63 ai 77 anni, con un follow-up mediano che variava da 3.9 a 96 mesi.
Il trattamento con ARSI è risultato associato a un rischio più elevato di eventi cardiovascolari di qualsiasi grado (risk ratio 1.75; intervallo di confidenza al 95% 1.50 - 2.04; p<0.001), nonché di eventi cardiovascolari severi (risk ratio 2.10; intervallo di confidenza al 95% 1.72 - 2.55; p<0.001).
La percentuale di pazienti che hanno riportato eventi cardiovascolari di qualsiasi grado è stata del 22% nel gruppo non trattato con ARSI rispetto al 36.6% nel gruppo trattato con ARSI. La percentuale di pazienti che hanno riportato eventi cardiovascolari severi è stata del 7.8% nel gruppo non trattato con ARSI rispetto al 15.6% nel gruppo trattato con ARSI.
In aggiunta, il trattamento con ARSI è risultato associato a un rischio più elevato di ipertensione severa (risk ratio 2.25; intervallo di confidenza al 95% 1.74 - 2.90; p<0.001), sindrome acuta coronarica severa (risk ratio 1.93; intervallo di confidenza al 95% 1.43 - 1.60; p<0.01), aritmia cardiaca (risk ratio 1.64; intervallo di confidenza al 95% 1.23 - 2.17; p<0.001), eventi cerebrovascolari (risk ratio 1.86; intervallo di confidenza al 95% 1.34 - 2.59; p<0.001), nonché per la mortalità legata a eventi cardiovascolari (risk ratio 2.02; intervallo di confidenza al 95% 1.32 - 3.10; p=0.001).
Le analisi di sottogruppo hanno evidenziato un rischio aumentato di eventi cardiovascolari in tutti i setting di trattamento (malattia ormono-sensibile sia non metastatica che metastatica, malattia resistente alla castazione sia non metastatica che metastatica.
Non sono state descritte differenze rilevanti tra i vari farmaci ARSI inclusi nell’analisi.
Sulla base dei suddetti risultati, gli autori sottolineano che la revisione sistematica della letteratura, con la relativa metanalisi, evidenzia un rischio aumentato di eventi cardiovascolari nei pazienti con tumore della prostata che ricevano ARSI come parte della loro terapia farmacologica. In questi anni, si è assistito non solo a un aumento del numero di pazienti trattati con questi farmaci, ma anche e soprattutto a un’anticipazione del loro impiego nel percorso di malattia di questi pazienti, nonché a un aumento della durata del trattamento, che a volte può durare anche anni.
Gli autori sottolineano che, sulla base di questi risultati, i pazienti con tumore della prostata dovrebbero essere informati, al momento della proposta terapeutica, e dovrebbero essere monitorati per il potenziale incremento del rischio di eventi cardiovascolari nel momento in cui iniziano un trattamento con ARSI in aggiunta alla “classica” terapia di deprivazione androgenica.
Quali sono le implicazioni pratiche di questi risultati? E’ necessaria una valutazione cardiologica basale per tutti i pazienti? Oltre a essere necessaria o meno, bisogna sicuramente valutare se l’attuale sistema sanitario rende fattibile una simile valutazione “di principio” per tutti i pazienti. Probabilmente no. Se si decide di valutare al basale, ed eventualmente monitorare, solo i pazienti considerati più a rischio sulla base delle patologie concomitanti, con che cadenza bisogna eseguire queste valutazioni.
Probabilmente il lavoro rappresenta un ottimo punto di partenza per una riflessione che coinvolga non solo gli oncologi ma anche i cardiologi. Da una parte, è chiaro che le raccomandazioni devono basarsi sull’evidenza e non essere del tutto limitate da quello che si fa (o si può fare) nella pratica clinica, ma è anche chiaro che produrre raccomandazioni che poi non possano essere realisticamente applicate nella pratica rischia di essere controproducente.