Patologia genito-urinaria
Lunedì, 23 Settembre 2024

Immunoterapia adiuvante nel tumore del rene: non solo risultati positivi…

A cura di Massimo Di Maio

Pubblicati sul Journal of Clinical Oncology i risultati dello studio CheckMate 914 parte B: a differenza dello studio condotto con pembrolizumab, la somministrazione adiuvante di nivolumab, con o senza ipilimumab, non ha dimostrato un beneficio significativo nei pazienti operati per tumore del rene. Le analisi di sottogruppo provano a descrivere segnali di efficacia, ma lo studio è negativo.

Robert J. Motzer et al., Adjuvant Nivolumab for Localized Renal Cell Carcinoma at High Risk of Recurrence After Nephrectomy: Part B of the Randomized, Placebo-Controlled, Phase III CheckMate 914 Trial. J Clin Oncol September 20, 2024, JCO.24.00773 DOI:10.1200/JCO.24.00773

Per anni, i tentativi di migliorare l’outcome dei pazienti sottoposti a nefrectomia per un tumore del rene mediante la somministrazione di terapie adiuvanti sono stati infruttuosi, e la gestione standard di questi pazienti è stata rappresentata dalla sola osservazione con i controlli di follow-up.

Negli ultimi anni, dopo i fallimenti degli studi condotti con inibitori di tirosino-chinasi, sono stati condotti studi con farmaci immunoterapici.

Tra questi, lo studio CheckMate 914, uno studio di fase III randomizzato il cui disegno prevedeva 2 confronti. La parte A dello studio valutava la combinazione di nivolumab più ipilimumab come trattamento adiuvante, mentre la parte B valutava l’impiego di nivolumab in monoterapia. adiuvante (parte B) rispetto al placebo in una popolazione di pazienti con carcinoma a cellule renali (RCC) localizzato ad alto rischio di recidiva dopo la nefrectomia.

I risultati della parte A erano già stati pubblicati precedentemente: la combinazione di nivolumab ed ipilimumab non ha mostrato alcun beneficio in termini di sopravvivenza libera da malattia (disease-free survival, DFS) rispetto al placebo. A settembre 2024 sono stati pubblicati dal Journal of Clinical Oncology i risultati della parte B.

In base al disegno dello studio, i pazienti erano assegnati dalla randomizzazione, in rapporto 2:1:1 a:

  • nivolumab (240 mg una volta ogni 2 settimane per un massimo di 12 dosi, corrispondenti quindi a 24 settimane) (braccio sperimentale utile al confronto della parte B dello studio);
  • placebo (braccio di controllo);
  • nivolumab (240 mg una volta ogni 2 settimane per un massimo di 12 dosi) più ipilimumab (1 mg/kg una volta ogni 6 settimane per un massimo di quattro dosi) (braccio sperimentale utile al confronto della parte A dello studio).

L'endpoint primario dello studio era la DFS valutata mediante revisione centrale indipendente in cieco (blinded indipendent central review, BICR) per il confronto di nivolumab rispetto al placebo; la descrizione della tossicità era un endpoint secondario dello studio.

Complessivamente, lo studio ha visto la randomizzazione di 825 pazienti: 411 assegnati a nivolumab in monoterapia, 208 assegnati a placebo e 206 assegnati a nivolumab più ipilimumab.

Con un follow-up mediano di 27.0 mesi, l'endpoint primario (DFS) non è stato raggiunto nemmeno per il confronto di nivolumab agente singolo rispetto al placebo: hazard ratio [HR] 0.87 (intervallo di confidenza al 95% 0.62 - 1.21), p=0.40).

La DFS mediana non è stata raggiunta in nessuno dei due bracci: a 18 mesi, la probabilità di sopravvivenza libera da recidiva è risultata pari al 78.4% con il nivolumab rispetto al 75.4% con il placebo.

Nell’analisi della DFS basata sulla valutazione periferica degli sperimentatori, l’hazard ratio è risultata pari a 0.80 (intervallo di confidenza al 95% 0.58 – 1.12, p= 0.19).

In un’analisi congiunta delle 2 parti dello studio, Condotta in pazienti con specifiche caratteristiche, la somministrazione di immunoterapia adiuvante ha determinato un vantaggio significativo in termini di DFS rispetto al placebo nei pazienti con un tumore con caratteristiche sarcomatoidi (hazard ratio 0.42, intervallo di confidenza al 95% 0.22 - 0.80) e nei pazienti con un tumore caratterizzato da espressione di PD-L1 ≥1% (hazard ratio 0.45, intervallo di confidenza al 95% 0.27 - 0.77).

Eventi avversi di grado 3-4, indipendentemente dalla causa, si sono verificati nel 17.2%, 15.0% e 28.9% dei pazienti rispettivamente trattati con nivolumab agente singolo, placebo e con la combinazione di nivolumab più ipilimumab.

Eventi avversi di qualsiasi grado giudicati correlati al trattamento hanno portato all'interruzione del trattamento rispettivamente nel 9.6%, 1.0% e 28.4% dei pazienti.

In conclusione, anche la parte B dello studio CheckMate 914 (confronto di nivolumab in monoterapia vs placebo) non ha raggiunto l'endpoint primario di miglioramento della DFS nei pazienti con tumore del rene in stadio localizzato, ad alto rischio di recidiva post-nefrectomia.

A differenza dello studio CheckMate 914, lo studio KEYNOTE-564 si è concluso con un risultato positivo con l’impiego di pembrolizumab adiuvante. Gli studi avevano varie differenze nelle caratteristiche dei pazienti, nel disegno dello studio e, come enfatizzato dagli autori nella discussione del lavoro, differivano per la durata del trattamento: circa 6 mesi nello studio di nivolumab e nivolumab più ipilimumab, circa 1 anno nello studio di pembrolizumab. Questa differenza potrebbe contribuire a spiegare la differenza osservata nel risultato.

Più volte in questi anni si è anche affrontato, già commentando gli studi condotti con gli inibitori di tirosino-chinasi, del problema legato alla tollerabilità del trattamento che, in un setting adiuvante, in assenza di malattia presente, si associa a un più alto rischio di interruzione del trattamento rispetto all’impiego dei medesimi farmaci in presenza di una malattia avanzata.

Come abbiamo detto più volte in questi anni, la pubblicazione dei risultati negativi è importante, perché concorre alla valutazione complessiva dell’evidenza in uno specifico setting. In questi anni, stiamo assistendo spesso alla conduzione di studi condotti con immunoterapici diversi in un simile setting di malattia, a volte con risultati simili, a volte con risultati contrastanti.

Provare a interpretare le spiegazioni di un risultato negativo, a fronte di altri risultati positivi ottenuti nel medesimo setting, è un esercizio difficile, e spesso le spiegazioni rimangono nell’ambito delle ipotesi.