Una metanalisi prova a sintetizzare l’evidenza disponibile sull’impiego dei nuovi farmaci immunoterapici nel trattamento dei pazienti con tumore uroteliale avanzato, precedentemente trattati con platino. Una terapia efficace, ma la capacità di selezione rimane subottimale.
Di Nunno V, De Luca E, Buttigliero C, Tucci M, Vignani F, Gatto L, Zichi C, Ardizzoni A, Di Maio M, Massari F. Immune-checkpoint inhibitors in previously treated patients with advanced or metastatic urothelial carcinoma: A systematic review and meta-analysis. Crit Rev Oncol Hematol. 2018 Sep;129:124-132. doi: 10.1016/j.critrevonc.2018.07.004. Epub 2018 Jul 19. Review. PubMed PMID: 30097230.
Negli ultimi anni, numerosi farmaci immunoterapici di nuova generazione hanno iniziato il percorso sperimentale finalizzato all’autorizzazione all’impiego nella pratica clinica nei pazienti affetti da carcinoma uroteliale avanzato.
Gli studi iniziali sono stati condotti su pazienti che avessero già fallito la chemioterapia contenente platino, che rappresenta il trattamento standard di prima linea, oppure in pazienti che non fossero eleggibili per tale trattamento standard, essendo “unfit” per il platino.
Nello specifico, la metanalisi recentemente pubblicata su Critical Reviews in Oncology / Hematology prende in considerazione gli studi condotti nel setting dei pazienti pretrattati con platino. In tale setting, sono ad oggi pubblicati 2 studi randomizzati di fase III, uno con l’anticorpo monoclonale anti-PDL1 atezolizumab e uno con l’anticorpo monoclonale anti-PD1 pembrolizumab, e numerosi studi di fase 1 o fase 2, condotti sia con farmaci anti-PD1 (nivolumab e lo stesso pembrolizumab), sia con farmaci anti-PDL1 (atezolizumab, nonché durvalumab e avelumab).
Entrambi gli studi randomizzati di fase III hanno confrontato il farmaco immunoterapico con la chemioterapia di seconda linea (un taxano oppure vinflunina), in pazienti pretrattati con cisplatino. I risultati dei 2 studi, presi singolarmente, hanno fatto molto discutere in quanto, a fronte del risultato positivo dello studio con pembrolizumab, che aveva come obiettivo primario il confronto tra i 2 trattamenti nella popolazione di pazienti non selezionati per l’espressione di PDL1, lo studio “gemello” condotto con atezolizumab, che aveva invece come obiettivo primario il confronto tra immunoterapia e chemioterapia nella popolazione di pazienti selezionati per l’espressione elevata di PDL1, si è concluso con un risultato formalmente negativo. Quale spiegazione possiamo ipotizzare? Reale differenza tra i 2 farmaci immunoterapici? Conseguenza del diverso disegno di studio e in particolare della diversa scelta della popolazione in cui condurre il confronto primario? Conseguenza della diversità nei 2 test per la selezione della positività del PDL1?
In aggiunta, i vari studi a singolo braccio hanno documentato, presi singolarmente, l’attività del trattamento immunoterapico (misurata come proporzione di risposte obiettive), provando ad ottimizzare la selezione dei pazienti descrivendo l’associazione tra espressione di PDL1 ed attività del trattamento, anche in questo caso con differenze tecniche tra i test adottati nello sviluppo dei differenti farmaci.
La metanalisi sintetizza i risultati disponibili in termini di
Prendendo in considerazione i 2 studi randomizzati di fase III (per un totale di 1473 pazienti), il trattamento immunoterapico, confrontato con la chemioterapia di seconda linea, dimostra un prolungamento significativo della sopravvivenza globale nella popolazione di pazienti non selezionati per l’espressione di PDL1 (Hazard Ratio 0.80, intervallo di confidenza al 95% 0.69 - 0.93, p = 0.003).
L’Hazard Ratio risulta numericamente migliore con il pembrolizumab (HR 0.73) rispetto all’atezolizumab (HR 0.85), e questo corrisponde a una differenza assoluta nella sopravvivenza mediana rispetto alla chemioterapia migliore con il pembrolizumab (10.3 vs. 7.4 mesi) che con l’atezolizumab (8.6 vs. 8.0 mesi).
Peraltro, l’eterogeneità statistica tra i 2 risultati risulta abbastanza modesta (I2=23%), suggerendo che la differenza osservata tra i due farmaci potrebbe essere dovuta al caso e non a differenze reali di efficacia.
Al contrario, la differenza tra immunoterapia e chemioterapia, nella popolazione di pazienti selezionati per l’elevata espressione di PDL1, non risulta statisticamente significativa (Hazard Ratio 0.72, intervallo di confidenza al 95% 0.48 - 1.09, p = 0.12). In tale popolazione, l’eterogeneità statistica tra i 2 farmaci è nettamente maggiore (I2 = 58%): pembrolizumab ha prodotto un risultato statisticamente significativo (Hazard Ratio 0.57, intervallo di confidenza al 95% 0.37 - 0.88), mentre atezolizumab non ha prodotto differenze statisticamente significative rispetto alla chemioterapia (Hazard Ratio 0.87, intervallo di confidenza al 95% 0.63 - 1.20).
Per quanto riguarda la proporzione di risposte obiettive, prendendo in considerazione sia gli studi randomizzati che gli studi non randomizzati, l’informazione risultava disponibile in 11 studi, dei quali 9 (per un totale di 1733 pazienti) limitati al trattamento di pazienti pretrattati con platino.
In tali pazienti, il trattamento con un farmaco immunoterapico è risultato associato a una proporzione di risposte obiettive pari al 18% (intervallo di confidenza al 95% 0.16 – 0.20).
Nel sottogruppo di 575 pazienti selezionati, all’interno di ciascuno studio, per espressione elevata di PDL1 (con differenti test e differente cutoff in ciascuno studio), la proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 27% (intervallo di confidenza al 95% 0.25 – 0.32).
La metanalisi fornisce alcuni spunti interessanti per l’interpretazione dei dati attualmente disponibili con i farmaci immunoterapici di nuova generazione nei pazienti con carcinoma uroteliale avanzato, dopo il fallimento della chemioterapia contenente platino.
Il risultato combinato dei 2 studi randomizzati suggerisce che l’apparente differenza tra i 2 studi, che tanto ha fatto discutere, potrebbe essere dovuta alla scarsa capacità predittiva della selezione per l’espressione di PDL1, piuttosto che a reali differenze nell’efficacia dei 2 farmaci: il risultato è infatti significativo per l’immunoterapia rispetto alla chemioterapia nella popolazione non selezionata, mentre non risulta significativo nella popolazione selezionata per l’espressione elevata di PDL1, dove la scarsa predittività positiva del test, nel caso di atezolizumab, sembra condizionare negativamente il risultato complessivo.
Anche l’analisi combinata dei dati di attività, misurata mediante la proporzione di risposte obiettive, evidenzia i limiti del PDL1 come marcatore predittivo positivo: la proporzione di risposte obiettive, pari al 18% nella popolazione non selezionata, sale, ma di pochissimo, nella popolazione selezionata per espressione elevata di PDL1, arrivando al 27%.
Tale dato evidenzia che, anche provando a selezionare in tal modo, la maggioranza dei pazienti non ottiene una risposta obiettiva al trattamento. Ovviamente, va sottolineato che i diversi studi impiegavano test diversi (e cutoff diversi) per la definizione di espressione elevata di PDL1, e questo limita la possibilità di combinare i risultati.
Peraltro, il messaggio è chiaro: anche limitandosi all’analisi della popolazione che, in ciascuno studio, era identificata come “selezionata” per il biomarker, siamo lontani dalla capacità predittiva ottimale.
Per quanto riguarda i pazienti affetti da carcinoma uroteliale avanzato, ad oggi, l’EMA ha approvato atezolizumab e pembrolizumab in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti affetti da carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico precedentemente sottoposti a chemioterapia a base di platino o ritenuti non idonei al trattamento con cisplatino.
Va sottolineato che l’impiego dei 2 farmaci nei pazienti pretrattati con platino, oggetto della presente metanalisi, ad oggi non prevede selezione per l’espressione di PDL1. Al contrario, sulla base di risultati preliminari degli studi Keynote-361 e IMvigor130, che hanno evidenziato una ridotta sopravvivenza con pembrolizumab e atezolizumab, rispetto alla chemioterapia, nei casi non eleggibili per il trattamento con platino e caratterizzati da bassa espressione di PDL1, la scheda tecnica dei 2 farmaci prevede una restrizione di impiego, rispettivamente ai pazienti con uno score combinato di PDL1 ≥10 nel caso di pembrolizumab e con un’espressione di PDL1 superiore al 5% nel caso di atezolizumab.