Secondo l’acronimo, lo studio STAMPEDE è nato per valutare trattamenti sistemici sperimentali nei pazienti con carcinoma della prostata metastatico. Uno dei confronti previsti dallo studio è andato invece a valutare l’efficacia della radioterapia sulla prostata in aggiunta al trattamento sistemico.
Parker CC, James ND, Brawley CD, Clarke NW, Hoyle AP, Ali A, Ritchie AWS, Attard G, Chowdhury S, Cross W, Dearnaley DP, Gillessen S, Gilson C, Jones RJ, Langley RE, Malik ZI, Mason MD, Matheson D, Millman R, Russell JM, Thalmann GN, Amos CL, Alonzi R, Bahl A, Birtle A, Din O, Douis H, Eswar C, Gale J, Gannon MR, Jonnada S, Khaksar S, Lester JF, O'Sullivan JM, Parikh OA, Pedley ID, Pudney DM, Sheehan DJ, Srihari NN, Tran ATH, Parmar MKB, Sydes MR; Systemic Therapy for Advanced or Metastatic Prostate cancer: Evaluation of Drug Efficacy (STAMPEDE) investigators. Radiotherapy to the primary tumour for newly diagnosed, metastatic prostate cancer (STAMPEDE): a randomised controlled phase 3 trial. Lancet. 2018 Oct 18. pii: S0140-6736(18)32486-3. doi: 10.1016/S0140-6736(18)32486-3. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 30355464.
Qual è il ruolo del trattamento del tumore primitivo, quando la malattia viene diagnosticata già con la presenza di metastasi a distanza? Nella maggior parte dei casi, in oncologia, in presenza di metastasi sincrone il trattamento locale passa “in secondo piano”, ad eccezione ovviamente dei casi in cui sia utile al controllo dei sintomi di malattia. Non mancano eccezioni, come la nefrectomia nel caso del tumore del rene metastatico alla diagnosi, sebbene le recenti evidenze randomizzate abbiano messo in discussione l’efficacia di tale procedura, nell’era dei moderni trattamenti farmacologici.
E nel caso del tumore della prostata? Come comportarsi quando la neoplasia è diagnosticata già in stadio metastatico?
Gli autori dello studio STAMPEDE, che già ha fornito importanti risultati relativi ad altri quesiti, come l’aggiunta del docetaxel o dell’abiraterone alla terapia di deprivazione androgenica, si sono posti il problema, disegnando un confronto randomizzato proprio per rispondere al quesito dell’efficacia del trattamento locale sulla prostata (nello specifico, radioterapia) in aggiunta al trattamento sistemico standard.
Come noto, lo studio STAMPEDE è concepito come una piattaforma caratterizzata da più bracci, e il confronto presentato all’ESMO e pubblicato su Lancet è stato disegnato per confrontare l’aggiunta della radioterapia al trattamento sistemico con il solo trattamento sistemico, ipotizzando che l’aggiunta del trattamento locale risultasse associato a un miglioramento della sopravvivenza, in particolare nei casi caratterizzati da un limitato carico di metastasi.
Lo studio randomizzato di fase III è stato condotto presso 117 istituzioni in Svizzera e nel Regno Unito.
I pazienti eleggibili avevano una nuova diagnosi di carcinoma della prostata metastatico. I pazienti sono stati randomizzati, in rapporto 1:1, al braccio di controllo (trattamento standard) oppure al braccio sperimentale (radioterapia sulla prostata in aggiunta al trattamento standard).
La randomizzazione era stratificata per centro, età, positività linfonodale, performance status, terapia di deprivazione androgenica, eventuale trattamento con docetaxel (divenuto standard a partire dal dicembre 2015) e uso regolare di aspirina o altri farmaci anti-infiammatori non steroidei.
La terapia standard era rappresentata dalla terapia di deprivazione androgenica (senza interruzioni programmate), e come detto dal dicembre 2015, sulla base dei risultati degli studi randomizzati che ne hanno dimostrato l’efficacia (incluso lo stesso studio STAMPEDE), era consentita l’aggiunta del docetaxel alla terapia di deprivazione androgenica.
I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano un trattamento radioterapico con frazioni quotidiane (55 Gy in 20 frazioni distribuite in 4 settimane), oppure con frazioni settimanali (36 Gy totali in 6 frazioni distribuite in 6 settimane).
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza globale.
Lo studio aveva una potenza del 90%, con errore alfa standard (2.5% a una coda) per evidenziare un vantaggio in sopravvivenza globale con l’aggiunta della radioterapia al trattamento standard (Hazard Ratio 0.75)
Endpoint secondari erano: la sopravvivenza libera da fallimento del trattamento, la sopravvivenza libera da progressione, la sopravvivenza libera da progressione sulle sedi metastatiche, la sopravvivenza specifica per cancro della prostata e la sopravvivenza libera da eventi sintomatici nella sede del tumore primitivo.
Due analisi di sottogruppo, pre-pianificate, avevano l’obiettivo di valutare l’efficacia dell’aggiunta della radioterapia al trattamento standard sulla base del carico di malattia metastatica (basso carico vs alto carico) e sulla base della schedula di radioterapia scelta (settimanale vs quotidiana). In accordo con la definizione di carico metastatico adottata nello studio CHAARTED, la definizione di basso carico metastatico non era basata sul numero di metastasi, ma sulla sede confinata ai linfonodi e allo scheletro assile.
Tra gennaio 2013 e settembre 2016, sono stati randomizzati 2061 pazienti, dei quali 1029 sono stati assegnati al braccio di controllo e 1032 al braccio sperimentale.
I due gruppi erano bilanciati per le principali caratteristiche. L’età mediana è risultata pari a 68 anni (range interquartile 63-73). Il 18% dei pazienti randomizzati ha ricevuto il docetaxel in aggiunta alla terapia di deprivazione androgenica. In poco più della metà dei pazienti (52%) è stata adottata la schedula quotidiana di radioterapia, mentre nel rimanente 48% dei casi è stata adottata la schedula settimanale. Il 40% dei pazienti aveva un basso carico di metastasi, il 54% un elevato carico di metastasi, mentre nel rimanente 6% dei casi il carico di metastasi non era definito.
L’aggiunta della radioterapia al trattamento standard è risultato associato ad un miglioramento significativo della sopravvivenza libera da fallimento del trattamento (Hazard Ratio 0.76, intervallo di confidenza al 95% 0.68 – 0.84, p<0.0001).
Per quanto riguarda l’endpoint primario, vale a dire la sopravvivenza globale, l’aggiunta della radioterapia al trattamento standard non è risultato associato ad un miglioramento significativo (Hazard Ratio 0.92, intervallo di confidenza al 95% 0.80 – 1.06, p=0.266).
L’analisi per sottogruppi ha evidenziato un risultato differente a seconda del carico di malattia metastatica, coerentemente con l’ipotesi pre-definita dagli autori. In particolare, nel sottogruppo di pazienti con un basso carico di malattia metastatica, l’aggiunta della radioterapia è risultata associata a un miglioramento significativo della failure-free survival (hazard ratio 0.59, intervallo di confidenza al 95% 0.49 – 0.72, p<0.0001) e della sopravvivenza globale (hazard ratio 0.68, intervallo di confidenza al 95% 0.62 – 0.90, p=0.007). Al contrario, nel sottogruppo di pazienti con un elevato carico di malattia metastatica, l’aggiunta della radioterapia non è risultata associata a un miglioramento significativo della failure-free survival (hazard ratio 0.88, intervallo di confidenza al 95% 0.71 – 1.01, p=0.059) e della sopravvivenza globale (hazard ratio 1.07, intervallo di confidenza al 95% 0.90 – 1.28, p=0.420).
L’analisi per sottogruppi sulla base della schedula di radioterapia ha suggerito un’efficacia maggiore, in termini di failure-free survival, per la schedula quotidiana rispetto alla schedula settimanale.
L’aggiunta della radioterapia è stata complessivamente ben tollerata, con un’incidenza di eventi avversi di grado 3-4 pari al 5% durante il trattamento radioterapico e un ulteriore 4% dopo il completamento della radioterapia. Nel complesso, la percentuale di pazienti che hanno riportato almeno 1 evento avverso severo è risultata simile nei 2 gruppi di studio (38% nel braccio di controllo e 39% nel braccio di radioterapia).
Coerentemente con il risultato osservato nell’endpoint primario dello studio (la sopravvivenza globale), gli autori concludono che l’aggiunta della radioterapia sulla prostata non ha migliorato l’outcome di pazienti con nuova diagnosi di carcinoma della prostata metastatico, che ricevevano il trattamento sistemico standard.
D’altra parte, gli autori enfatizzano i risultati dell’analisi per sottogruppi sulla base del carico di malattia metastatica, analisi che era stata pre-pianificata e che merita attenzione. Nel sottogruppo di pazienti con basso carico metastatico, l’aggiunta della radioterapia sulla prostata è risultata associata a un miglioramento significativo, e clinicamente rilevante, sia della failure-free survival che della sopravvivenza globale. La proporzione di pazienti vivi a 3 anni è risultata pari, in questo sottogruppo, al 73% con il solo trattamento standard e all’81% con l’aggiunta della radioterapia sulla prostata, con una differenza assoluta pari a 8 punti percentuali, tutt’altro che trascurabile.
Nella discussione, gli autori sottolineano giustamente che l’analisi per sottogruppi è stata condotta nel rispetto dei criteri che ne garantiscono la credibilità, in termini di ipotesi pre-specificata, di rilevanza dell’effetto osservato, di consistenza del risultato tra gli endpoint e di plausibilità della direzione dell’interazione. In altre parole, è plausibile che, nei casi in cui la prognosi è condizionata da un elevato numero di metastasi già alla diagnosi, il trattamento locale sulla prostata impatti poco o nulla sull’andamento di malattia, mentre può impattare molto nei casi in cui il “peso” clinico e prognostico del numero e delle sedi di malattia metastatica è meno rilevante. Va ricordato comunque che la definizione del carico metastatico basale è stata fatta a posteriori, essendo stata introdotta dopo che lo studio CHAARTED aveva suggerito la rilevanza di tale classificazione.
Con un approccio pragmatico, gli autori sottolineano che, a differenza di molti trattamenti farmacologici di alto costo, la radioterapia non necessita di approvazione da parte delle autorità regolatorie, e potrebbe essere prontamente presa in considerazione, con costi contenuti, anche nei paesi economicamente meno favoriti.
Il trattamento locale (chirurgico o radioterapico) sul tumore primitivo merita di essere testato in studi randomizzati, analogamente al disegno dello studio STAMPEDE, anche in altri tipi di tumore, specialmente nei casi caratterizzati da un basso carico di metastasi alla diagnosi.