Lo studio CARD aveva già sancito la superiorità del cabazitaxel rispetto a abiraterone o enzalutamide nei pazienti con tumore della prostata che già avessero fallito una terapia ormonale. Meno scontato, forse, era il risultato di qualità di vita, ora pubblicato su Lancet Oncology.
Fizazi K, Kramer G, Eymard JC, Sternberg CN, de Bono J, Castellano D, Tombal B, Wülfing C, Liontos M, Carles J, Iacovelli R, Melichar B, Sverrisdóttir Á, Theodore C, Feyerabend S, Helissey C, Oudard S, Facchini G, Poole EM, Ozatilgan A, Geffriaud-Ricouard C, Bensfia S, de Wit R. Quality of life in patients with metastatic prostate cancer following treatment with cabazitaxel versus abiraterone or enzalutamide (CARD): an analysis of a randomised, multicentre, open-label, phase 4 study. Lancet Oncol. 2020 Sep 11:S1470-2045(20)30449-6. doi: 10.1016/S1470-2045(20)30449-6. Epub ahead of print. PMID: 32926841.
Negli ultimi anni, il trattamento del tumore della prostata resistente alla castrazione si è arricchito di varie opzioni terapeutiche, sia farmaci chemioterapici sia terapie ormonali di nuova generazione.
La terapia ormonale è ritenuta un’opzione meno aggressiva e teoricamente meno impattante sulla qualità di vita in termini di effetti collaterali rispetto alla chemioterapia.
Peraltro, i farmaci ormonali disponibili nella pratica clinica (abiraterone ed enzalutamide), pur avendo un diverso meccanismo d’azione, sono caratterizzati da un grado significativo di cross-resistenza, nel senso che la chance che uno dei due funzioni dopo il fallimento dell’altro è molto limitata. Questo ha indotto molti a ritenere “scontati” i risultati dello studio CARD, uno studio randomizzato condotto in pazienti con carcinoma della prostata metastatico resistente alla castrazione, che, avendo già ricevuto il docetaxel e un farmaco ormonale di nuova generazione (abiraterone o enzalutamide) e dovendo ricevere un ulteriore trattamento a causa della progressione di malattia, venivano randomizzati a ricevere il chemioterapico cabazitaxel oppure l’altro farmaco ormonale di nuova generazione (abiraterone se avevano già ricevuto enzalutamide, e viceversa).
I pazienti assegnati al braccio di chemioterapia ricevevano cabazitaxel, alla dose di 25 mg/mq, ogni 3 settimane, nonché prednisone alla dose quotidiana di 10 mg, con il supporto di principio con fattori di crescita per i granulociti.
I pazienti assegnati al braccio trattato con terapia ormonale ricevevano abiraterone (alla dose di 1000 mg al giorno più prednisone alla dose di 5 mg due volte al giorno) oppure enzalutamide (alla dose di160 mg al giorno).
La randomizzazione era stratificata per ECOG performance status, tempo alla progressione durante la precedente terapia ormonale e timing della precedente terapia ormonale rispetto alla chemioterapia con docetaxel.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione radiologica.
L’analisi primaria dello studio, già precedentemente pubblicata, ha evidenziato risultati che, come accennavamo, sono stati giudicati in parte “scontati”, dimostrando un beneficio a favore della chemioterapia sia in termini di sopravvivenza libera da progressione che in sopravvivenza globale.
Ma che impatto hanno questi trattamenti sulla qualità di vita?
La pubblicazione recente su Lancet Oncology descrive i risultati dell’analisi dei patient-reported outcomes. Lo studio prevedeva la valutazione del dolore (misurato mediante il Brief Pain Inventory-Short Form [BPI-SF]) e la valutazione degli eventi scheletrici sintomatici, nonché l’impiego del questionario Functional Assessment of Cancer Therapy—Prostate (FACT-P) e EuroQoL—5 dimensions, 5 level scale (EQ-5D-5L).
Lo studio ha visto la randomizzazione, tra il 2015 e il 2018, di 255 pazienti, dei quali 129 assegnati al trattamento con cabazitaxel e 126 assegnati al trattamento ormonale.
Una risposta in termini di miglioramento del dolore è stata osservata in 51 su 111 (46%) pazienti trattati con cabazitaxel e in 21 su 109 (19%) pazienti trattati con abiraterone o enzalutamide (p<0.0001).
Il trattamento con cabazitaxel è risultato associato a un significativo prolungamento del tempo al peggioramento del dolore (mediana non raggiunta nel braccio di chemioterapia, rispetto a 8.5 mesi nel braccio di terapia ormonale (hazard ratio [HR] 0.55, intervallo di confidenza al 95% 0.32 – 0.97; log-rank p=0.035).
Analogamente, il trattamento con cabazitaxel è risultato associato a un significativo miglioramento del tempo agli eventi scheletrici sintomatici (mediana non raggiunta con il cabazitaxel, rispetto a 16.7 mesi con la terapia ormonale, HR 0.59, intervallo di confidenza al 95% 0.35 – 1.01; log-rank p=0.050).
Il tempo al deterioramento del punteggio globale del questionario di qualità di vita FACT-P è risultato più lungo con il cabazitaxel (mediana 14.8 mesi rispetto a 8.9 mesi, anche se la differenza non è risultata statisticamente significativa (HR 0.72, intervallo di confidenza al 95% 0.44 – 1.20; log-rank p=0.21).
L’analisi dei punteggi EQ-5D-5L ha evidenziato un vantaggio significativo per cabazitaxel in termini di utility index score (p=0.030) e una differenza non statisticamente significativa nel punteggio VAS (visual analogue scale, p=0.060).
Gli autori sottolineano che, dal momento che il cabazitaxel ha evidenziato un miglioramento del dolore, sia in termini di risposta che di prolungamento del controllo, un miglioramento in termini di eventi scheletrici e un andamento rassicurante dei punteggi di qualità di vita complessiva, i pazienti e i medici possono essere rassicurati che il cabazitaxel non comporta un peggioramento della qualità di vita rispetto a una seconda terapia ormonale.
Ancora una volta, i risultati di qualità di vita, pur essendo basati su questionari raccolti durante il trattamento e per definizione disponibili al momento dell’analisi principale, vengono pubblicati molti mesi dopo la pubblicazione iniziale. Eppure, come ci siamo sforzati spesso di sottolineare, la valutazione di questi endpoint sarebbe importante per il giudizio complessivo sui risultati di uno studio e sul valore dei trattamenti.
A cosa servono i risultati di qualità di vita? Se i trattamenti in studio hanno “pareggiato” per quanto riguarda gli altri endpoint, ad esempio nel caso in cui i 2 bracci non differiscano per sopravvivenza globale o per sopravvivenza libera da progressione, la qualità di vita può aiutare a identificare il trattamento preferibile.
Non è questo il caso, però, in quanto lo studio CARD aveva già inquivocabilmente detto che la chemioterapia con cabazitaxel, in chi ha già ricevuto abiraterone o enzalutamide, è meglio di un secondo tentativo ormonale. Bene, in questo caso i patient-reported outcomes ci servono a rispondere a un quesito importante: il trattamento vincente, in questo caso la chemioterapia, che prezzo impone in termini di qualità di vita? Comporta un peggioramento, come in linea di principio si potrebbe supporre confrontando un trattamento chemioterapico con una “più gentile” terapia ormonale?
Ebbene, i risultati dello studio CARD dimostrano ancora una volta che la qualità di vita scaturisce, nei pazienti con malattia metastatica, da un delicato equilibrio tra effetti collaterali e controllo dei sintomi. Nel complesso, il cabazitaxel, che già era chiaramente vincitore in termini di controllo radiologico di malattia e sopravvivenza globale, esce vincitore anche in qualità di vita, con un miglior controllo del dolore e un andamento rassicurante dei punteggi di qualità di vita globale.
Si potrebbe discutere, certo, dell’adeguatezza del braccio di controllo, che già al momento della pubblicazione primaria dello studio molti hanno ritenuto “perdente in partenza”, ma questo non limita le suddette considerazioni sull’importanza dei risultati di qualità di vita ora pubblicati.