Quando esistono più opzioni terapeutiche per la medesima condizione clinica, un quesito spesso affrontato è quello di testarne l’impiego concomitante invece che sequenziale. E’ questo il razionale di uno studio di fase II che ha testato la combinazione di abiraterone e cabazitaxel nei pazienti con carcinoma della prostata resistente alla castrazione. I risultati? Interlocutori.
Slovin SF, Knudsen K, Halabi S, de Leeuw R, Shafi A, Kang P, Wolf S, Luo B, Gopalan A, Curley T, Fleming M, Molina A, Fernandez C, Kelly K. Randomized Phase II Multicenter Trial of Abiraterone Acetate With or Without Cabazitaxel in the Treatment of Metastatic Castration-Resistant Prostate Cancer. J Clin Oncol. 2023 Aug 15:JCO2202639. doi: 10.1200/JCO.22.02639. Epub ahead of print. PMID: 37582240.
Negli ultimi anni, le opzioni terapeutiche per il carcinoma della prostata resistente alla castrazione sono molto migliorate. Fino a qualche lustro fa, l’unica terapia di provata efficacia in termini di prolungamento della sopravvivenza globale era il docetaxel, al quale si sono aggiunti, tra gli altri, vari farmaci ormonali di nuova generazione, come l’enzalutamide e l’abiraterone, nonché il chemioterapico cabazitaxel.
L’incremento delle opzioni disponibili ha fatto sì che molti pazienti possano oggi essere candidati a una sequenza terapeutica, ricorrendo ad esempio a un farmaco ormonale di nuova generazione, come l’abiraterone, e alla chemioterapia al momento della progressione di malattia. Come spesso accade quando esistono più opzioni terapeutiche “combinabili” dal punto di vista della tollerabilità, il quesito può essere non solo quello di identificare la miglior sequenza, ma anche quello di testare la combinazione, con l’auspicio che possa essere più efficace rispetto alla somministrazione in sequenza.
Con questo razionale, gli autori dell’articolo pubblicato ad agosto 2023 dal Journal of Clinical Oncology hanno condotto uno studio di fase II per valutare la combinazione di abiraterone acetato, prednisone e cabazitaxel nei pazienti con carcinoma della prostata metastatico, resistente alla castrazione.
Disegno: studio di fase II randomizzato, non formalmente comparativo.
I pazienti assegnati al braccio 1 ricevevano terapia ormonale con abiraterone acetato e prednisone, seguito da cabazitaxel alla progressione radiologica.
I pazienti assegnati al braccio 2 ricevevano la combinazione di terapia ormonale con abiraterone acetato e prednisone + chemioterapia con cabazitaxel.
La randomizzazione prevedeva una stratificazione in alto e basso rischio, in accordo al nomogramma di Halabi.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progression strumentale (radiographic progression-free survival, rPFS), definite come il tempo dalla data di randomizzazione alla data di progressione strumentale, o alla data di morte per i pazienti deceduti senza dimostrazione di progressione strumentale.
Endpoint secondari erano la risposta biochimica (riduzione del valore di PSA di almeno il 50%), la sopravvivenza libera da progressione biochimica, la sopravvivenza globale e la tossicità del trattamento.
Lo studio prevedeva di inserire 40 pazienti per braccio, senza un’ipotesi formale di superiorità per il braccio di combinazione rispetto al braccio sequenziale.
Lo studio prevedeva analisi esploratorie dello stato mutazionale di RB e delle cellule tumorali circolanti, allo scopo di descrivere la correlazione di tali biomarker con l’outcome clinico dei pazienti in studio.
Lo studio ha visto la randomizzazione di 81 pazienti complessivi, specificamente 42 assegnati al braccio 1 e 39 assegnati al braccio 2.
Nel braccio 1 (terapia ormonale da sola), la sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 6.4 mesi (intervallo di confidenza al 95%, 3.8 – 10.6), con una sopravvivenza globale mediana pari a 18.3 mesi (intervallo di confidenza al 95% 14.4 – 37.6). Una risposta biochimica (vale a dire una riduzione del valore di PSA maggiore del 50%) è stata osservata nel 56% dei pazienti trattati.
Nel braccio 2 (combinazione di abiraterone e cabazitaxel) la sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 14.8 mesi (intervallo di confidenza al 95% 10.6 - 16.4) e la sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 24.5 mesi (intervallo di confidenza al 95% 20.4 – 35.0). Una risposta biochimica in termini di riduzione del PSA maggiore del 50% è stata osservata nel 92.1% dei pazienti trattati.
Le analisi esploratorie dei biomarker non hanno evidenziato correlazioni significative con l’outcome clinico.
In entrambi i bracci il profilo di tollerabilità è risultato coerente con l’atteso.
Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che la combinazione “upfront” di cabazitaxel e abiraterone acetato e prednisone si è rivelata tollerata e associata a incoraggianti risultati in termini di sopravvivenza libera da progressione, risposta biochimica e sopravvivenza globale.
Naturalmente, lo studio aveva un intento esploratorio, e bisogna sottolineare che il disegno non prevedeva un confronto formale tra i due bracci, e quindi non era disegnato per dimostrare formalmente la superiorità della strategia di combinazione rispetto alla strategia standard, basata sull’impiego sequenziale di abiraterone e prednisone, con la somministrazione di cabazitaxel considerata al momento della progressione strumentale.
Pur non avendo un disegno formalmente comparativo, la presenza di un braccio di controllo aiuta a interpretare il risultato ottenuto nel braccio sperimentale. In passato, il braccio che riceveva il trattamento standard veniva chiamato “braccio di calibrazione”, con l’intento di fungere da “tara” per l’interpretazione del risultato osservato nel braccio sperimentale. Un risultato incoraggiante osservato nel braccio sperimentale potrebbe essere semplicemente frutto di una selezione positiva dei pazienti, e quindi l’outcome osservato nel braccio di controllo aiuta a capire se “fidarsi” o meno di quanto osservato con la combinazione.
Uno studio del genere presenta vari punti deboli. Il primo è che, come sempre succede quando si testa una combinazione rispetto all’approccio sequenziale, l’eventuale migliore attività si ottiene “bruciando” una linea di terapia, e quindi il modo ideale di confrontare l’efficacia delle strategie non può essere la “semplice” attività della linea di terapia oggetto di studio (in questo caso la rPFS) ma deve considerare anche l’efficacia delle linee successive.
Inoltre, negli ultimi anni le caratteristiche dei pazienti candidati al trattamento per un tumore della prostata resistente alla castrazione sono molto cambiate rispetto a qualche anno fa. Prima, i pazienti diventavano resistenti alla castrazione avendo ricevuto solo la terapia di deprivazione androgenica, mentre oggi moltissimi pazienti ricevono in fase di ormono-sensibilità anche la chemioterapia con docetaxel e/o agenti ormonali di nuova generazione. Questo rischia di rendere poco applicabili i risultati di uno studio come questo, e l’eventuale conferma dell’efficacia della combinazione in uno studio di fase III dovrebbe necessariamente tener conto delle diverse caratteristiche basali (soprattutto in termini di trattamenti precedenti) dei pazienti.