Patologia genito-urinaria
Sabato, 14 Novembre 2015

Olaparib nel tumore della prostata: quando il DNA non si ripara…

A cura di Massimo Di Maio

La “letalità sintetica” si rivela una strategia potenzialmente efficace anche nel tumore della prostata: quando c’è un difetto nei geni del riparo del DNA, un inibitore di PARP ottiene un’elevatissima percentuale di risposte…

Mateo J, Carreira S, Sandhu S, Miranda S, Mossop H, Perez-Lopez R, Nava Rodrigues D, Robinson D, Omlin A, Tunariu N, Boysen G, Porta N, Flohr P, Gillman A, Figueiredo I, Paulding C, Seed G, Jain S, Ralph C, Protheroe A, Hussain S, Jones R, Elliott T, McGovern U, Bianchini D, Goodall J, Zafeiriou Z, Williamson CT, Ferraldeschi R, Riisnaes R, Ebbs B, Fowler G, Roda D, Yuan W, Wu YM, Cao X, Brough R, Pemberton H, A'Hern R, Swain A, Kunju LP, Eeles R, Attard G, Lord CJ, Ashworth A, Rubin MA, Knudsen KE, Feng FY, Chinnaiyan AM, Hall E, de Bono JS. DNA-Repair Defects and Olaparib in Metastatic Prostate Cancer. N Engl J Med. 2015 Oct 29;373(18):1697-708.

E’ noto, e già ampiamente descritto in numerosi tipi di tumore, che le cellule neoplastiche caratterizzate da un difetto nei geni del riparo del DNA sono potenzialmente più vulnerabili agli inibitori di PARP (poli ADP ribosio polimerasi).

Infatti, le cellule riparano i danni al DNA attraverso diversi meccanismi molecolari. Nei pazienti con un’alterazione dei geni del riparo del DNA, ad esempio la mutazione nei geni BRCA1 o BRCA2, è presente un deficit di riparo del DNA attraverso la cosiddetta ricombinazione omologa, un altro meccanismo di riparo complementare a quello che si basa sull’azione di PARP. Quando in tali casi viene somministrato un inibitore di PARP, entrambi i sistemi di riparo del DNA sono inattivati, e questo favorisce la morte cellulare. Tale fenomeno è comunemente conosciuto con il nome di "letalità sintetica".

A fine ottobre 2015 sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati di uno studio di fase II condotto in pazienti affetti da carcinoma della prostata metastatico, resistente alla castrazione. I pazienti ricevevano un inibitore di PARP, olaparib, alla dose standard di 400 mg due volte al giorno.

Endpoint primario dello studio era la proporzione di risposte obiettive, definite come la risposta obiettiva secondo i criteri RECIST 1.1, oppure la riduzione di almeno il 50% nei livelli di PSA, oppure una riduzione nel numero di cellule tumorali circolanti, da un numero pari o superiore a 5 in 7.5 ml di sangue, a meno di 5 in 7.5 ml di sangue.

Lo studio era disegnato per valutare la proporzione di risposte nella popolazione complessiva dello studio, non selezionata, con un’ipotesi nulla del 5% di risposte e un’ipotesi alternativa del 20%.

I pazienti non erano selezionati sulla base di una specifica alterazione molecolare, ma la raccolta del tessuto tumorale era obbligatoria, e sono state eseguite numerose analisi per caratterizzare i casi da un punto di vista delle alterazioni molecolari, incluse le aberrazioni nei geni del riparo del DNA.

Lo studio ha visto l’inserimento di 50 pazienti. Tutti i pazienti inseriti erano stati pretrattati con docetaxel, 49 (pari al 98%) erano anche pretrattati con abiraterone o enzalutamide, e 29 pazienti (pari al 58%) avevano ricevuto anche il cabazitaxel.

In totale, dei 49 pazienti valutabili per la risposta, 16 hanno ottenuto una risposta (proporzione di risposte pari al 33%, intervallo di confidenza al 95% dal 20% al 48%). In 12 casi, la durata del trattamento è stata superiore a 6 mesi.

Le analisi molecolari (condotte mediante tecnica di next generation sequencing) hanno evidenziato la presenza di un’alterazione nei geni del riparo del DNA (BRCA1/2, ATM, gene dell’anemia di Fanconi, CHEK2) in 16 dei 49 pazienti valutabili (33%).

14 dei 16 pazienti con alterazione nei geni del riparo del DNA hanno risposto ad olaparib (88%). Tra questi, tutti i 7 pazienti con perdita di BRCA2, e 4 pazienti sui 5 con aberrazioni di ATM.

Il trattamento con olaparib è stato complessivamente ben tollerato. I più comuni effetti collaterali di grado 3-4 sono stati l’anemia (20%) e la fatigue (12%).

Il risultato pubblicato sul NEJM dimostra che la strategia di selezionare i casi di tumore della prostata “vulnerabili” a causa di alterazione nei geni di riparo del DNA, e trattarli con un inibitore di PARP, in particolare l’olaparib, può risultare una strategia vincente.

Dal punto di vista numerico, la prevalenza delle suddette alterazioni nei geni del riparo è tutt’altro che trascurabile, in quanto nello studio del NEJM, impiegando tecniche di next generation sequencing, circa un terzo dei pazienti risultava “portatore” di un’alterazione di BRCA2, ATM o qualcuno degli altri geni coinvolti nel riparo del DNA.

Anche nel tumore della prostata è possibile identificare un sottogruppo, o meglio una sotto-popolazione caratterizzata dal punto di vista molecolare, nella quale è possibile ottenere un’elevatissima percentuale di risposte (88% nel caso dell’olaparib).

Lo studio, peraltro, nasceva senza selezione molecolare, per documentare una sia pur minima attività dell’olaparib nel setting dei pazienti con carcinoma prostatico resistente alla castrazione. L’ipotesi dello studio prevedeva infatti una "modesta" proporzione auspicata di risposte, pari al 20% nella popolazione complessiva. Le analisi molecolari, e il fortissimo ruolo predittivo delle alterazione dei geni del riparo, hanno giustamente “dirottato” l’attenzione sul promettente ruolo di tale "accoppiata" biomarker – farmaco.