Lo studio RANGE testava il ramucirumab in aggiunta a docetaxel come seconda linea del carcinoma uroteliale: ha guadagnato la sessione presidenziale all’ESMO e le pagine di Lancet ma, in attesa dei dati di sopravvivenza, i risultati appaiono modesti
Petrylak DP, de Wit R, Chi KN, Drakaki A, Sternberg CN, Nishiyama H, Castellano D, Hussain S, Fléchon A, Bamias A, Yu EY, van der Heijden MS, Matsubara N, Alekseev B, Necchi A, Géczi L, Ou YC, Coskun HS, Su WP, Hegemann M, Percent IJ, Lee JL, Tucci M, Semenov A, Laestadius F, Peer A, Tortora G, Safina S, Del Muro XG, Rodriguez-Vida A, Cicin I, Harputluoglu H, Widau RC, Liepa AM, Walgren RA, Hamid O, Zimmermann AH, Bell-McGuinn KM, Powles T; RANGE study investigators. Ramucirumab plus docetaxel versus placebo plus docetaxel in patients with locally advanced or metastatic urothelial carcinoma after platinum-based therapy (RANGE): a randomised, double-blind, phase 3 trial. Lancet. 2017 Sep 12. pii: S0140-6736(17)32365-6. doi: 10.1016/S0140-6736(17)32365-6. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 28916371.
Al fallimento della terapia di prima linea, la prognosi dei pazienti affetti da carcinoma uroteliale avanzato è scadente, e le opzioni terapeutiche disponibili sono rimaste limitate, fino ai recenti risultati ottenuti con gli immune checkpoint inhibitors che, nel prossimo futuro, diventeranno parte delle opzioni disponibili nella pratica clinica. In attesa della disponibilità di questi ultimi farmaci, al fallimento di una chemioterapia di prima linea contenente platino, una monochemioterapia (docetaxel oppure paclitaxel oppure vinflunina) rappresenta lo standard di trattamento, in accordo alle principali linee guida nazionali ed internazionali.
Lo studio randomizzato di fase III RANGE ha valutato l’efficacia dell’aggiunta del ramucirumab, un anticorpo monoclonale anti-Vascular Endothelial Growth Factor Receptor-2, al docetaxel.
In entrambi i bracci, il trattamento era proseguito fino a progressione di malattia, in assenza di tossicità inaccettabile.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione (PFS, progression-free survival), valutata dagli sperimentatori. Lo studio prevedeva anche una valutazione centralizzata del medesimo endpoint. La sopravvivenza globale era tra gli endpoint secondari dello studio.
Complessivamente, lo studio ha visto la randomizzazione di 530 pazienti tra il luglio 2015 e l’aprile 2017. Nel dettaglio, 263 pazienti sono stati assegnati a ramucirumab + docetaxel, e 267 pazienti sono stati assegnati a placebo + docetaxel.
La combinazione sperimentale ha determinato un prolungamento statisticamente significativo della PFS: nel dettaglio, la PFS mediana è risultata pari a 4.07 mesi vs 2.76 mesi; hazard ratio 0.757, intervallo di confidenza al 95% 0.607 - 0.943; p=0.0118).
L’analisi basata sui dati della revisione indipendente centralizzata, condotta in cieco, ha prodotto risultati molto simili.
La proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 24.5% nel braccio sperimentale, e al 14.0% nel braccio di controllo.
La maggior parte degli eventi avversi è stata di grado 1-2, e la frequenza di eventi avversi di grado severo è risultata simile nei 2 bracci dello studio (60% vs 62%, rispettivamente con ramucirumab e con placebo). La proporzione di pazienti con eventi avversi severi giudicati collegati al trattamento è stata pari al 24% con ramucirumab e al 20% con placebo. Le morti giudicate correlate al trattamento sono state pari al 3% nel braccio sperimentale e al 2% nel braccio di controllo.
Al momento dell’analisi dei dati presentata nella pubblicazione su Lancet, i dati di sopravvivenza globale non erano ancora maturi e non sono stati presentati.
Il risultato dello studio RANGE è sicuramente interessante, in quanto rappresenta la prova di principio dell’attività di un farmaco anti-angiogenico nei pazienti affetti da carcinoma uroteliale. Lo studio ha anche guadagnato la presentazione in sessione presidenziale in occasione del recente congresso ESMO di Madrid: per certi aspetti è stata una scelta coraggiosa da parte di una società scientifica che, con la pubblicazione della “magnitude of clinical benefit scale”, ha esplicitamente affrontato il problema della rilevanza clinica dei risultati e del valore dei trattamenti oncologici. Da questo punto di vista, il vantaggio dimostrato in termini di sopravvivenza libera da progressione, pur essendo statisticamente significativo, si caratterizza per una modesta rilevanza clinica: la differenza in PFS mediana è infatti di poco superiore a 1 mese. Gli autori dello studio non affrontano, nell’articolata discussione del lavoro, l’argomento della rilevanza clinica del beneficio che, a nostro avviso, è cruciale per uno studio che ha scelto come endpoint primario la sopravvivenza libera da progressione in un setting di seconda linea, e non presenta risultati di sopravvivenza globale.
L'editoriale che accompagna la pubblicazione su Lancet, a firma di Bellmunt, sottolinea l’importanza della dimostrazione dell’impatto di un trattamento anti-angiogenico in questo setting. Peraltro, commentando il vantaggio osservato (che, lo ricordiamo, corrisponde a poco più di un mese in PFS mediana), Bellmunt sottolinea che tale vantaggio in PFS (anche se non si confermasse un buon surrogato della sopravvivenza globale) potrebbe essere considerato un vantaggio di per sé. In verità, non siamo d’accordo su quest’ultimo punto di vista: anche noi abbiamo sottolineato in passato (cfr. Di Maio, ESMO 2011) che la PFS può avere un valore intrinseco, a prescindere dal suo ruolo di endpoint surrogato, ma perché tale valore intrinseco sia clinicamente rilevante, occorre ovviamente che la dimensione (“magnitude”) del vantaggio sia molto più rilevante di quella effettivamente osservata. Saremmo ovviamente felici se i risultati di sopravvivenza globale, quando saranno maturi e saranno pubblicati, si rivelassero clinicamente più rilevanti.