Un’analisi retrospettiva documenta l’outcome dei pazienti con tumore della prostata metastatico ormonosensibile che negli anni scorsi, dopo l’evidenza prodotta dallo studio CHAARTED, sono stati trattati nella pratica clinica con docetaxel upfront. Un esempio del contributo dei “real world data” all’evidenza scientifica.
Chiara Pisano, Fabio Turco, Elena Arnaudo, Elena Fea, Paola Vanella, Fiorella Ruatta, Roberto Filippi, Federica Brusa, Veronica Prati, Federica Vana, Alessia Mennitto, Carlo Cattrini, Francesca Vignani, Rossana Dionisio, Massimiliano Icardi, Pamela Guglielmini, Roberta Buosi, Ilaria Stevani, Roberto Vormola, Gianmauro Numico, Ilaria Depetris, Alessandro Comandone, Alessandra Gennari, Mario Airoldi, Maura Rossi, Giorgio Vellani, Cinzia Ortega, Marcello Tucci, Massimo Di Maio, Consuelo Buttigliero. TEAM study: upfront doceTaxel trEatment in patients with metAstatic horMone-sensitive prostate cancer: a real-world, multicentre, retrospective analysis. Clinical Genitourinary Cancer 2023.
Il trattamento del tumore della prostata ormonosensibile metastatico è sicuramente tra quelli che negli ultimi anni ha beneficiato del maggior numero di novità. Cronologicamente, l'apripista di tali novità è stato lo studio CHAARTED, che ha evidenziato il beneficio associato all'impiego del docetaxel non più come terapia della malattia resistente alla castrazione ma in combinazione con la terapia di deprivazione androgenica (ADT), nel cosiddetto impiego “upfront”.
Poi sono seguiti numerosi studi che hanno documentato il beneficio di vari farmaci ormonali di nuova generazione, sempre in associazione all’ADT, tra cui l’abiraterone, l’enzalutamide, l’apalutamide. Più recentemente, alcuni studi hanno supportato l’impiego della cosiddetta “terapia triplice”, vale a dire l’impiego del farmaco ormonale di nuova generazione non come alternativa al docetaxel ma in combinazione, ovviamente sempre in aggiunta all’ADT.
Questi cambiamenti hanno fatto sì che probabilmente saranno pochi i pazienti che, da ora in poi, riceveranno ADT + docetaxel. Peraltro, questo trattamento è stato molto usato negli anni scorsi, complice la mancata rimborsabilità dell’abiraterone, e soprattutto la chemioterapia rimarrà parte del trattamento come componente della terapia triplice, almeno in alcuni pazienti. Da questo punto di vista, quindi, è particolarmente interessante avere dati di “real world” relativi all’impiego upfront del docetaxel.
Lo studio TEAM era disegnato come uno studio osservazionale, retrospettivo, che ha coinvolto 11 centri del Piemonte, allo scopo di descrivere in una casistica di “real world” l’outcome dei pazienti trattati con docetaxel upfront, in termini di sopravvivenza globale (overall survival, OS) e di sopravvivenza libera da progressione (progression-free survival, PFS), provando a descrivere i principali fattori prognostici in tale setting.
Lo studio non era dimensionato sulla base di un’ipotesi predefinita, ma si riprometteva di includere tra 100 e 200 pazienti per avere potenza accettabile nell’identificare variabili di impatto rilevante in termini di Hazard Ratio.
Lo studio ha incluso i dati di 147 pazienti, trattati tra il settembre 2014 e il dicembre 2020.
La sopravvivenza libera da progressione (PFS) mediana è risultata pari a 11.6 mesi, mentre la sopravvivenza globale mediana è risultata pari a 37.4 mesi.
All’analisi univariata, le variabili associate in maniera statisticamente significativa alla PFS sono risultate il Gleason score (p=0.001), l’uso di oppioidi (p=0.004), il numero di metastasi ossee (p<0.001), il valore basale di PSA (p=0.006), l’emoglobina (p<0.001), il valore di fosfatasi alcalina (p<0.001) e il valore di LDH (p=0.002), nonché il tempo trascorso tra l’inizio della terapia di deprivazione androgenica e l’inizio della chemioterapia con docetaxel (p=0.018), nonché il valore a 3 mesi del PSA (p<0.001), il valore a 3 mesi della fosfatasi alcalina (p<0.001) e il numero di cicli di docetaxel (p<0.001).
Nel dettaglio, i pazienti sono stati divisi in 2 gruppi sulla base del tempo trascorso tra l’inizio della terapia di deprivazione androgenica e l’inizio della chemioterapia, usando come cutoff il valore mediano pari a 2.2 mesi. La PFS mediana è risultata pari a 15 mesi per i pazienti che avevano iniziato entro i 2.2 mesi e pari a 9.8 mesi per i pazienti che avevano iniziato più tardivamente (Hazard Ratio 1.54, intervallo di confidenza al 95% 1.07 – 2.20, p=0.018).
All’analisi multivariata per la PFS, hanno conservato la significatività statistica come variabili indipendenti il Gleason score, l’uso di oppioidi, il valore basale di LDH e il tempo trascorso tra l’inizio dell’ADT e l’inizio della chemioterapia.
Per quanto riguarda la sopravvivenza globale, variabili significative all’analisi univariata sono risultate il valore di PSA alla diagnosi (p=0.024), l’aver ricevuto un trattamento sul tumore primitivo (p=0.022), il dolore basale (p=0.015), l’uso di oppioidi (p<0.001), il numero delle metastasi ossee (p<0. 001), il valore basale di emoglobina (p<0.001), fosfatasi alcalina (p<0.001) e di LDH (p=0.001), il rapporto neutrofili/linfociti basale (p=0.039), nonché il valore a 3 mesi di PSA (p<0.001), ALP (p<0.001) e il numero di cicli di docetaxel (p<0.001).
All’analisi multivariate per la sopravvivenza globale, il valore basale di emoglobina e il valore di LDH hanno conservato la significatività statistica come variabili indipendenti.
Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori sottolineano che, anche in una casistica “real world” trattata con chemioterapia upfront in aggiunta alla terapia di deprivazione androgenica, alcune caratteristiche basali si confermano prognostiche nei pazienti con tumore della prostata metastatico ormono-sensibile. L’elevato Gleason score, il carico elevato di malattia, la presenza di dolore e il conseguente uso di oppioidi, nonché alcuni parametri di laboratorio, identificano pazienti con un andamento mediamente più aggressivo e un controllo di malattia meno lungo.
Interessante il dato relativo all’associazione significativa tra la tempestività dell’inizio della chemioterapia rispetto alla terapia ormonale e la sopravvivenza libera da progressione: ovviamente non si tratta di un confronto randomizzato ma di una raccolta retrospettiva, e numerose variabili possono aver condizionato la tempistica di inizio. Peraltro, in assenza di impedimenti logistici, si potrebbe ipotizzare un bias che in realtà andrebbe nella direzione contraria rispetto al risultato osservato, nel senso che i pazienti con caratteristiche di malattia più aggressive (e quindi prognosi peggiore) potrebbero essere stati avviati prima ad iniziare la chemioterapia. Questo avrebbe potuto giustificare un outcome peggiore per chi ha iniziato prima, invece i risultati vanno nella direzione opposta, suggerendo un miglior risultato quando la terapia viene iniziata tempestivamente.
L’avvento delle terapie ormonali di nuova generazione ha drasticamente diminuito il numero di pazienti candidati a ricevere docetaxel in combinazione con la ADT, ma i risultati degli studi che hanno testato la cosiddetta “triplice terapia” (ADT + farmaco ormonale di nuova generazione + docetaxel) fanno sì che la chemioterapia vada ancora considerata in questo setting. Da questo punto di vista, ovviamente, i risultati di questa analisi retrospettiva non sono direttamente applicabili (i pazienti ricevevano il solo docetaxel in aggiunta all’ADT) ma aiutano a identificare pazienti con malattia dal comportamento più aggressivo e pazienti con malattia dall’andamento meno aggressivo. L’auspicio è che il miglioramento della conoscenza dei fattori prognostici aiuti nell’ottimizzare l’algoritmo terapeutico, distinguendo pazienti che meritano un approccio terapeutico più “pesante” rispetto ad altri che possono essere gestiti con la sola terapia ormonale. C’è da considerare, ovviamente, che al momento non esistono studi randomizzati che abbiano specificamente indagato il ruolo della chemioterapia in aggiunta alla terapia ormonale di nuova generazione + ADT, quindi l’applicazione dei risultati dello studio TEAM offre solo un contributo indiretto al quesito.