Dopo chirurgia radicale, il 30% dei tumori della prostata ricompare, spesso con un aumento del PSA. In caso di ripresa o persistenza locale di malattia, la radioterapia è lo standard. Ma è necessaria anche la terapia ormonale? La risposta sul NEJM di stamattina.
Shipley WU, et al. Radiation with or without antiandrogen therapy in recurrent prostate cancer. N Engl J Med 2017, epub ahead of print Feb 2nd.
Poco più di un terzo dei pazienti con neoplasia prostatica non guarisce dopo chirurgia radicale (prostatectomia). Spesso, inoltre, la ripresa della malattia non si manifesta dal punto di vista clinico, ma con un aumento lento e inesorabile del PSA, definendo la biochemical recurrence.
In questi casi, la letteratura dimostra vi sia spazio per la RT di salvataggio, sebbene anche questa fallisca in circa il 50% dei casi.
Lo studio RTOG 9601, disegnato nella metà degli anni 90, si proponeva di valutare se l'aggiunta di bicalutamide per due anni alla dose diaria di 150 mg fosse superiore al placebo nell'incrementare le chance di lungosopravvivenza.
Si tratta di un trial randomizzato, sponsorizzato da NCI e RTOG, condotto in doppio cieco nel quale pazienti precedentemente operati per neoplasia porstatica T2 o T3 e con valore di PSA tra 0.2 e 4 ng/mL earno randomizzati a ricevere entro 12 settimane dalla random RT di salvataggio (64.8 Gy in frazioni da 1.8 Gy) + bicalutamide o placebo per 24 mesi. Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza overall; endpoint secondari includevano la mortalità cancro-specifica, la progressione locale, e gli eventi avversi.
Tra il 198 e il 2003 sono stati randomizzati nello studio 760 pazienti (ben bilanciati per caratteristiche demografiche e di patologia iniziali); i risultati finali sono pubblicati dopo un follow-up mediano di 13 anni, considerato l'endpoint primario dello studio. Al momento della random, l'età mediana dei pazienti era di 65 anni.
Da segnalare che non vi era una revisione centralizzata dell'istologia.
Il tasso attuariale di sopravvivenza a 12 anni era pari a 76.3% nel braccio di pazienti randomizzati a bicalutamide vs 71.3% in quelli che ricevevano sola RT (differenza assoluta 5%, HR 0.77, 95%CI 0.59.0.99, p=0.04); l'analisi post hoc per sottogruppi suggeriva il beneficio in sopravvivenza fosse trainato dai pazienti con valore piuù elevato di PSA (oltre 0.7 ng/mL) e con margini postchirurgici positivi (p di interazione non presentata).
In linea con l'endpoint primario, anche l'incidenza di morte cancro-specifica a 12 era era migliorata dalla terapia ormonale: 5.8% vs 13.4% (p<0.001).
Il tasso di eventi avversi tradivi era smile nei due gruppi, ma si registrava - come atteso - una difefrenze incidenza di ginecomastia (70% vs 11%).
Lo studio dimostra il vantaggio dell'associare la terapia ormonale con bicalutamide alla RT al momento della ripresa biochimica di malattia dopo chirurgia radicale; sebbene gli effetti collaterali fossero nel complesso limitati - ginecomastia esclusa - si deve ricordare che vanno trattati 20 pazienti per evitare una morte a 12 anni.
Nonostante gli agonisti di GnRH abbiano soppiantato la bicalutamide nella associazione alla terapia radiante, lo studio disegnato un ventennio fa non perde il suo valore filosofico, indicando come l'associazione tra RT e ormonoterapia sia da preferire in questo setting. I dati maturi di altri trial in corso (RADICAL-HD inglese e GETUG-16 francese) permetteranno di avere maggiori dati sul quesito specifico.