Sebbene consigliata nelle linee guida internazionali, l'isterectomia radicale con chirurgia mini-invasiva per il trattamento del carcinoma della cervice uterina non era mai stata direttamente confrontata con l'intervento in open. Ecco i risultati dello studio randomizzato LACC.
Ramirez PT, et al. Minimally Invasive versus Abdominal Radical Hysterectomy for Cervical Cancer. N Engl J Med 2018, epub Oct 31st
Il carcinoma della cervice uterina rappresenta in Italia un problema sanitario rilevante ma in calo, sebbene colpisca ancora circa 2.000 donne ogni anno e abbia tra i fattori di rischio fattori ambientali e virali.
Nella malattia early-stage, che include lo stadio I (carcinoam strettamente confinato alla cervice uterina) e lo stadio IIA (carcinoma della cervice che si estende oltre l'utero ma senza giungere alla parete pelvica o al terzo inferiore della vagina e senza infiltrazione dei parametri), le linee guida suggeriscono come prima opzione la chirurgia: isterectomia radicale con linfoadenectomia pelvica che può essere espletata per via laparotomica, per via laparoscopica con o senza assistenza vaginale o per via endoscopica con approccio robotico.
Tuttavia, l'approccio conservativo non è mai stato direttamente (e prospetticamente) confrontato con la chirurgia addominale open.
Da queste premesse segue il disegno del trial randomizzato di fase 3 LACC, uno studio di non inferiorità che ha arruolato oltre 600 donne con carcinoma della cervice uterina in stadio IA1 (invasione vascolare), IA2 (invasione stromale, profondità compresa tra 3 e 5 mm, larghezza inferiore a 7 mm) ovvero IB1 (neoplasia di dimenzione massima inferiore ai 4 cm senza coinvolgimento linfonodale) a chirurgia addominale vs mini-invasiva.
Endpoint primario dello studio era verificare l'eventuale differenza in DFS a 4.5 anni dalla chirurgia.
Pazienti allocate al trattamento laparotomico: 312
Pazienti allocate al trattamento mini-invasivo: 319 (tra queste la chirurgia robotica era effettuata nel 15% delle pazienti e quella laparoscopica nell'85%).
La maggior parte delle pazienti incluse era giovane (età mediana 46 anni), con Performance Status ottimale e con neoplasia in stadio IB1 (90% circa dei casi); non si registravano differenze tra i due gruppi riguardo la caratterizzazione istologica, la presenza di infiltrazione linfonodale o dei parametri, la dimensione e il grading tumorale, e luso di terapia adiuvante (un trattamento postoperatorio con chemioterapia o radioterapia era somministrato a circa il 28% delle pazienti i entrambi i bracci di trattamento chirurgico).
Il tasso di sopravvivenza senza recidiva a 4.5 anni era del 96.5% con al chirurgia tradizionale vs 86% con quella mini-invasiva (quindi il trial è formalmente negativo e la chirurgia mini-invasiva non può essere considerata non inferiore a quella open).
Inoltre, anche a 3 anni la chirurgia mini-invasiva era associata a un tasso di DFS inferiore (91.2% vs 97.3%, HR per disease recurrence or death 3.74, 95%CI 1.63-8.58) e a una chance di sopravvivenza overall a 3 anni meno buona (93.8% vs 99%).
I risultati del trial randomizzato - stoppato precocemente su ndicazione del Safety Steering Commitee a causa della preoccupazione per i risultati - sembrano smentire quelli di recenti metanalisi, nelle quali non si segnalava una significativa differenza in termini di outcome per la chirurgia mini-invasiva vs quella open. Ma i dati sono i dati e questo è quanto abbiamo oggi a disposizione.
Sebbene il trial non mirasse a raccogliere informazioni sulle cause dell'inferiorità in outcome per la chirurgia mini-invasiva, è possibile le manipolazioni uterine e l'insufflazione di anidride carbonica durante la procedura abbiano giocato a sfavore.
Nell'attesa le linee guida internazionali prendano atto della nuova evidenza, rimane da stabilire se nei tumori cervicali early-stage a basso rischio (dimensione inferiore ai 2 cm, profondità di invasione limitata, assenza di infiltrazione vascolare o linfonodale) sia ragionevole proseguire con la chirurgia laparoscopica o robotica.