Un anno dopo la pubblicazione del beneficio in sopravvivenza globale per il trattamento ormonale immediato dopo la recidiva biochimica rispetto all’inizio ritardato, gli autori pubblicano ora i risultati delle analisi di qualità di vita.
Duchesne GM, Woo HH, King M, Bowe SJ, Stockler MR, Ames A, D'Este C, Frydenberg M, Loblaw A, Malone S, Millar J, Tai KH, Turner S. Health-related quality of life for immediate versus delayed androgen-deprivation therapy in patients with asymptomatic, non-curable prostate cancer (TROG 03.06 and VCOG PR 01-03 [TOAD]): a randomised, multicentre, non-blinded, phase 3 trial. Lancet Oncol. 2017 Jul 28. pii: S1470-2045(17)30426-6. doi: 10.1016/S1470-2045(17)30426-6. [Epub ahead of print]
La diffusione universale del dosaggio del PSA nel follow-up dei pazienti inizialmente trattati con intento curativo per un carcinoma della prostata ha fatto sì che molti pazienti ricevano una diagnosi di malattia recidiva, non più suscettibile di trattamenti locali, quando sono ancora completamente asintomatici.
L’anno scorso sono stati pubblicati su Lancet Oncology i risultati principali dello studio TOAD, uno studio randomizzato cooperativo multicentrico iniziato nel 2004, grazie alla collaborazione del Cancer Council Victoria, del Trans-Tasman Radiation Oncology Group e della Urological Society of Australia and New Zealand (USANZ).
L’ipotesi alla base dello studio, iniziato oltre dieci anni fa ma pubblicato solo nel 2016, era che l’inizio “precoce” della terapia di deprivazione androgenica (ADT) al momento della diagnosi di recidiva basata sull’incremento del PSA potesse dimostrarsi superiore, in termini di sopravvivenza globale, rispetto al rinvio dell’inizio del trattamento al momento della progressione “clinica”.
Lo studio prevedeva la randomizzazione di pazienti con carcinoma della prostata, eleggibili in caso di rialzo del PSA dopo un precedente trattamento curativo (chirurgia o radioterapia), oppure eleggibili in caso di non indicazione ai trattamenti curativi (sulla base dell’età, delle patologie concomitanti, dell’estensione localmente avanzata di malattia).
La randomizzazione (in rapporto 1:1) prevedeva che i pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevessero ADT immediata, mentre i pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano ADT “ritardata” di almeno 2 anni (oppure prima dei 2 anni se l’evoluzione clinica lo avesse richiesto, a giudizio del clinico).
La scelta del tipo di ADT era a discrezione dello sperimentatore, e lo studio era condotto in aperto.
L’endpoint primario era la sopravvivenza globale nella popolazione intention-to-treat. La sopravvivenza a 5 anni era risultata pari a 86.4% nel braccio “ritardato” rispetto a 91.2% nel braccio di ADT immediata (log-rank p value = 0.047). L’hazard ratio di decesso è risultata pari a 0.55 (intervallo di confidenza al 95% 0.30 – 1.00; p = 0.05).
Sono stati ora pubblicati su Lancet Oncology, a distanza di circa un anno dalla pubblicazione principale, i risultati dell’analisi di qualità di vita. Nell’ottica della valutazione dei pro e dei contro del trattamento ormonale, e della relativa discussione con il paziente, tali risultati appaiono clinicamente interessanti.
I pazienti partecipanti allo studio compilavano il questionario European Organisation for Research and Treatment of Cancer (EORTC) QLQ-C30 e il questionario PR25, prima della randomizzazione, con cadenza semestrale per I primi 2 anni e successivamente con cadenza annuale per ulteriori 3 anni.
Tra il settembre 2004 ed il luglio 2012, sono stati complessivamente randomizzati 293 pazienti: 151 sono stati assegnati al braccio di trattamento “ritardato”, e 142 sono stati assegnati al braccio di trattamento immediato.
L’analisi non ha evidenziato differenze significative tra i 2 gruppi in termini di qualità di vita globale, nei 2 anni successivi alla randomizzazione.
Non sono state descritte differenze significative in qualità di vita globale e in altri domini funzionali (physical functioning, role functioning, emotional functioning), né in termini di fatigue, di dispnea, di insonnia, o di percezione della propria virilità nei 5 anni successivi alla randomizzazione.
E’ stata descritta una riduzione significativa nell’attività sessuale, nel gruppo di pazienti assegnati al trattamento immediato rispetto al gruppo di pazienti assegnati al trattamento ritardato, sia a distanza di 6 che di 12 mesi dalla randomizzazione. Il punteggio medio a 6 mesi era infatti pari a 29.20 [intervallo di confidenza al 95% 24.59 - 33.80] nel gruppo assegnato al trattamento ritardato, rispetto a 10.40 [intervallo di confidenza al 95% 6.87 -13.93] nel gruppo assegnato al trattamento immediato, con una differenza pari a 18.80 [intervallo di confidenza al 95% 13.00 – 24.59], p<0.0001. Analogamente, a 12 mesi dalla randomizzazione, il punteggio era rispettivamente pari a 28.63 [95%CI 24.07 – 33.18] rispetto a 13.76 [95% CI 9.94 – 17.59], con una differenza pari a 14.86 [95%CI 8.95 – 20.78], p<0.0001).
Nel gruppo assegnato al trattamento immediate, i pazienti hanno riportato più sintomi legati al trattamento, sia a 6 che a 12 mesi, ma con differenze assolute più contenute rispetto alla differenza nell’attività sessuale. Nel dettaglio, a 6 mesi il punteggio medio è risultato pari a 8.48 [intervallo di confidenza al 95% 6.89 – 10.07] nel gruppo di pazienti assegnati al trattamento ritardato rispetto a 15.97 [95%CI 13.92 – 18.02] nel gruppo di pazienti assegnati al trattamento immediato, con una differenza assoluta pari a -7·49 [95%CI -10.06 - -4.93], p<0.0001. Analogamente, a 12 mesi i punteggi sono stati rispettivamente 9.32 [95%CI 7.59 – 11.05] rispetto a 17.07 [95%CI 14.75 – 19.39], con una differenza pari a -7.75 [95%CI -10.62 - -4.89], p<0.0001). In particolare, i pazienti assegnati al trattamento immediato hanno riportato significativamente più vampate nell’arco dei 5 anni, e un incremento significativo dei disturbi mammari.
Dopo la pubblicazione del beneficio significativo in termini di sopravvivenza globale, gli autori australiani avevano sottolineato l’utilità del risultato dello studio randomizzato, nonostante fosse stato chiuso prima di raggiungere l’accrual previsto, nel supportare l’inizio immediato della terapia di deprivazione androgenica nei pazienti che, peraltro asintomatici, presentino un rialzo del PSA dopo un iniziale trattamento curativo.
In considerazione dell’importanza della qualità di vita e del potenziale impatto degli effetti collaterali associati al trattamento, per una migliore discussione con i pazienti dei pro e dei contro della suddetta terapia, sono molto interessanti anche i risultati relativi all’analisi della qualità di vita, che era endpoint secondario dello studio.
Nonostante il prevedibile impatto negativo sull’attività sessuale e su alcuni sintomi specificamente associati agli effetti collaterali della terapia, gli autori sottolineano che questo impatto non ha determinato ripercussioni significative sulla qualità di vita globale dei pazienti.
Come già capitato nel commentare altri studi randomizzati, nei quali la differenza negli effetti collaterali dei trattamenti non si traduce sempre (a volte sorprendentemente) in una differenza significativa in qualità di vita globale, è lecito chiedersi se su questo risultato possa pesare la limitata sensibilità dello strumento utilizzato per la misurazione della qualità di vita globale (le domande 29 e 30 del questionario EORTC C30), o anche la limitata numerosità del campione in studio.
Peraltro, è rassicurante che l’inizio immediato del trattamento ormonale non comporti un peggioramento “clamoroso” della qualità di vita dei pazienti. Questa informazione, unita al beneficio in termini di sopravvivenza globale, è utile ai clinici e ai pazienti per una decisione informata e consapevole relativa all’inizio del trattamento.
Nelle linee guida AIOM 2016, il quesito clinico 11 recita: "Nei pazienti con recidiva biochimica dopo prostatectomia radicale o radioterapia, comunque candidati a terapia ormonale, il trattamento ormonale deve essere iniziato immediatamente o può essere differito a comparsa di recidiva / progressione anche a livello clinico - strumentale?" La raccomandazione clinica è: "Nei pazienti che dopo prostatectomia radicale o radioterapia definitiva sviluppano una rcaduta a livello biochimico, può essere considerata la terapia ormonale immediata", qualità dell'evidenza SIGN B, forza della raccomandazione positiva debole.