Dopo olaparib e altri PARP inibitori, anche rucaparib documenta attività in pazienti con tumore della prostata resistente alla castrazione, in presenza di alterazioni di BRCA1 o BRCA2. Si tratta di una minoranza di pazienti, ma è la prova della possibilità di impiegare farmaci mirati anche in questo setting.
Wassim Abida, Akash Patnaik, David Campbell, Jeremy Shapiro, Alan H. Bryce, Ray McDermott, Brieuc Sautois, Nicholas J. Vogelzang, Richard M. Bambury, Eric Voog, Jingsong Zhang, Josep M. Piulats, Charles J. Ryan, Axel S. Merseburger, Gedske Daugaard, Axel Heidenreich, Karim Fizazi, Celestia S. Higano, Laurence E. Krieger, Cora N. Sternberg, Simon P. Watkins, Darrin Despain, Andrew D. Simmons, Andrea Loehr, Melanie Dowson, Tony Golsorkhi, Simon Chowdhury, and on behalf of the TRITON2 investigators. Rucaparib in Men With Metastatic Castration-Resistant Prostate Cancer Harboring a BRCA1 or BRCA2 Gene Alteration. Journal of Clinical Oncology published ahead of print August 14, 2020
Recentemente, gli inibitori della poli(ADP-ribosio) polimerasi (PARP), che hanno inizialmente dimostrato efficacia nel tumore dell’ovaio, in particolare nei casi caratterizzati da difetti dei geni del riparo del DNA mediante ricombinazione omologa, sono stati sperimentati in numerosi altri tipi di tumori solidi, tra cui il tumore della prostata.
E’ noto che circa il 10-12% dei pazienti con tumore della prostata metastatico, resistente alla castrazione, presentano alterazione dei geni BRCA1 o BRCA2 (quest’ultima percentualmente più comune rispetto all’alterazione di BRCA1).
Qualche mese fa, sono stati pubblicati i risultati dello studio PROfound, trial randomizzato che ha evidenziato la maggiore efficacia di olaparib rispetto a un farmaco ormonale di nuova generazione (abiraterone o enzalutamide) in pazienti con tumore della prostata resistente alla castrazione che avessero già fallito un precedente trattamento con una terapia ormonale di nuova generazione.
Come osservato anche in altri tumori, si susseguono le evidenze ottenute con i vari PARP inibitori. Sono stati pubblicati, come “Rapid communication” dal Journal of Clinical Oncology, i risultati dello studio di fase II, a singolo braccio, TRITON2, condotto in un setting simile (pazienti con tumore della prostata metastatico resistente alla castrazione, con documentata alterazione dei geni del riparo del DNA). Nella pubblicazione sono presentati i dati relativi al trattamento dei pazienti con alterazione di BRCA1 o BRCA2.
I pazienti eleggibili erano in progressione dopo 1 o 2 linee di terapie ormonali di nuova generazione, e almeno 1 linea di chemioterapia con taxano per tumore della prostata resistente alla castrazione.
I pazienti sono stati trattati con rucaparib alla dose di 600 mg due volte al giorno.
Gli endpoint dello studio erano:
Lo studio era disegnato a 2 stadi secondo il classico disegno di Simon, assumendo come ipotesi nulla di attività il 20% di risposte obiettive e auspicando il 35% di risposte obiettive, con una potenza del 90% e errore alfa pari al 5% (one-sided).
I risultati di attività e sicurezza si riferiscono ad una popolazione di 115 pazienti.
Tutti presentavano un’alterazione di BRCA, con o senza malattia misurabile. Nel dettaglio, 13 pazienti avevano alterazione di BRCA1, 102 avevano alterazione di BRCA2, 44 pazienti avevano un’alterazione germinale e i rimanenti 71 avevano invece un’alterazione somatica.
Sulla base della valutazione radiologica indipendente, nei 62 pazienti valutabili la proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 43.5% (intervallo di confidenza al 95%, 31.0% - 56.7%).
Sulla base della valutazione periferica degli sperimentatori, nei 65 pazienti valutabili la proporzione di risposte obiettive è risultata pari al 50.8% (intervallo di confidenza al 95% 38.1% - 63.4%).
Otto pazienti hanno ottenuto una risposta completa sulle lesioni non ossee (epatiche o linfonodali). Nel 70% dei rispondenti, la risposta è stata ottenuta alla prima valutazione (dopo 8 settimane dall’inizio del trattamento). La durata della risposta mediana non era stata ancora raggiunta al momento dell’analisi nella valutazione indipendente (intervallo di confidenza al 95%, 6.4 mesi – non raggiunta) ed era pari a 6.4 mesi (intervallo di confidenza al 95% 5.5 – 11.7 mesi) nella valutazione periferica degli sperimentatori.
Sul totale dei 115 pazienti, la risposta in termini di riduzione del valore di PSA è stata osservata nel 54.8% dei pazienti (intervallo di confidenza al 95%, 45.2% - 64.1%).
L’analisi di sottogruppo documenta una proporzione di risposte obiettive simile nei pazienti con una mutazione germinale o somatica di BRCA, e simile nei pazienti con alterazione di BRCA1 o BRCA2. Nei pazienti con BRCA2 è stata osservata una più alta proporzione di risposte in termini di PSA.
Al momento dell’analisi, la sopravvivenza libera da progressione mediana era pari a 9.0 mesi nella valutazione indipendente centralizzata, e il 73% dei pazienti era vivo a 1 anno dall’inizio della terapia.
Il profilo di tollerabilità è risultato coerente con quanto già noto con il rucaparib negli altri studi già condotti. L’evento avverso severo (grado >=3) più frequente in corso di trattamento è risultato l’anemia (registrato nel 25.2% dei 115 pazienti trattati).
Sulla base dei dati presentati, gli autori concludono che il rucaparib ha dimostrato attività antitumorale nel sottogruppo di pazienti con tumore della prostata metastatico, resistente alla castrazione, caratterizzato dalla presenza di un’alterazione dei geni BRCA. Il profilo di tollerabilità è stato sovrapponibile a quello osservato impiegando il farmaco nelle altre indicazioni già sperimentate.
I dati che si accumulano con i vari PARP inibitori in questo setting, che al momento hanno avuto il “picco” nella pubblicazione dello studio PROfound condotto con olaparib, documentano la buona attività di questa strategia terapeutica “target” nel sottogruppo di pazienti con alterazioni dei geni del riparo del DNA. Dopo i vari farmaci chemioterapici e ormonali approvati negli ultimi anni per i pazienti affetti da tumore della prostata resistente alla castrazione, si tratta del primo approccio terapeutico “personalizzato” sulla base di una caratteristica molecolare.
Ovviamente, uno studio di fase II a singolo braccio documenta l’attività del trattamento, in questo caso del rucaparib, ma non può quantificare il beneficio in termini di efficacia. L’elevata proporzione di risposte obiettive, di risposte in termini di PSA, e i promettenti dati in termini di sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenza globale sono certamente un “biglietto da visita” promettente per il farmaco, che ha ricevuto dalla FDA l’accelerated approval in questo setting.
Lo studio randomizzato di fase III, che confronta il rucaparib con un trattamento a scelta degli sperimentatori (docetaxel o un farmaco ormonale di nuova generazione) in pazienti con malattia resistente alla castrazione e alterazione di BRCA o ATM, in progressione dopo un primo trattamento ormonale di nuova generazione, aiuteranno a definire meglio l’efficacia del farmaco. Lo studio PROfound, condotto con olaparib, prevedeva il solo confronto con la terapia ormonale, e i pazienti non erano necessariamente pretrattati con chemioterapia, imponendo qualche riflessione sull’appropriatezza del braccio di controllo. Nel caso del rucaparib, il docetaxel è tra le opzioni possibili, a scelta dello sperimentatore, come braccio di controllo, in alternativa a un secondo tentativo con una terapia ormonale di nuova generazione.
Gli autori della pubblicazione concludono che i dati presentati supportano l’impiego di rucaparib in questa popolazione di pazienti. Prudentemente, è lecito definire i risultati promettenti, aspettare lo studio di fase III, ed è ragionevole scommettere sul fatto che i PARP inibitori avranno uno spazio in questo setting, e auspicabilmente anche in setting di malattia più precoci, caratterizzati dalla presenza delle alterazioni molecolari predittive dell’attività dei farmaci.