Le protesi mammarie testurizzate posizionate dopo intervento di mastectomia per carcinoma mammario sono state sottoposte ad uno scrupoloso scrutinio da quando è stata descritta una possibile associazione con il rischio di linfoma anaplastico a grandi cellule. Ad oggi, non erano stati riportati dati riguardo all’associazione con il rischio di recidiva da carcinoma mammario. Uno studio retrospettivo, condotto in Sud Corea, riporta i risultati tratti da una casistica di 650 pazienti, ma…
Lee KT, et al. Association of the Implant Surface Texture Used in Reconstruction With Breast Cancer Recurrence. JAMA Surg 2020 (Epub ahead of print)
Le protesi mammarie testurizzate sono state originariamente disegnate con l’obiettivo di ridurre la contrattura capsulare, sebbene questa proprietà non sia stata confermata da studi con follow-up lungo. Fra gli altri potenziali vantaggi degli impianti con superficie testurizzata vi è la minore probabilità di dislocazioni (rotazioni anomale). Tuttavia, a seguito di segnalazioni riguardo a una potenziale associazione con il rischio di linfoma anaplastico a grandi cellule (ALCL), sono generati dubbi sull’opportunità del loro impiego nella chirurgia ricostruttiva della mammella.
Il razionale ipotizzato per spiegare la relazione tra protesi mammarie testurizzate e rischio di ALCL è quello di una infiammazione patologica e persistente generata da questo specifico tipo di impianti. Lo stesso meccanismo potrebbe essere alla base di una potenziale associazione tra protesi testurizzate e maggior rischio di recidiva di carcinoma mammario.
Uno studio condotto presso il Samsung Medical Center a Seoul, in Corea del Sud tra gennaio 2011 e dicembre 2016 ha analizzato la possibile associazione tra rischio di recidiva da carcinoma mammario e tipo di superficie dell’impianto protesico (testurizzata verso liscia). Per l’analisi, gli autori si sono serviti di un database prospettico.
Disegno: studio monocentrico, retrospettivo, condotto su 650 donne con diagnosi di carcinoma mammario sottoposte ad intervento di ricostruzione mammaria in due tempi (posizionamento di espansore e successiva sostituzione dello stesso con impianto finale di protesi a superficie testurizzata o liscia).
Follow-up: almeno 2 anni dal posizionamento della protesi.
Principali misure di outcome: Local and regional recurrence-free survival (LRRFS) e disease-free survival (DFS).
In totale, 650 donne (corrispondenti a 687 casi) di età media pari a 43.5 anni, sono state incluse nello studio, con un follow-up mediano di 52 (31-106) mesi. Dei 687 casi, 274 (39.9%) hanno ricevuto un impianto a superficie liscia e 413 (60.1%) a superficie testurizzata (ruvida). Le caratteristiche delle pazienti nei due gruppi sono risultate simili in termini di stadio alla diagnosi (stadio I: 102 [37.2%] vs 173 [41.9%]; stadio II: 93 [33.9%] vs 119 [28.8%]; stadio III: 14 [5.1%] vs 20 [4.8%]; P = .50), tasso di radioterapia (42 [15.3%] vs 49 [11.9%]; P = .19) e chemioterapia (113 [41.2%] vs 171 [41.4%]; P = .97).
La LRRFS a 5 anni è stata pari al 96.7% e la DFS a 5 anni pari al 95.2%. Confrontato con il gruppo che ha ricevuto un impianto a superficie liscia, il gruppo con impianti testurizzati ha mostrato un’associazione statisticamente significativa con una ridotta DFS, e la differenza è rimasta significativa anche dopo analisi multivariata aggiustata per stato recettoriale e per stadio (HR 3.054; 95%IC 1.158-8.051; P = .02). Parimenti, associazioni significative sono state riscontrate nel sottogruppo di pazienti con recettori estrogenici positivi (HR 3.130; 95%IC 1.053-9.307; P = .04) e nel sottogruppo con carcinomi invasivi (HR 3.044; 95%IC 1.152-8.039; P = .03).
L’associazione tra impianti testurizzati e rischio di recidiva è risultata maggiore nei casi con stadi più avanzati (stadio II o III) (HR 8.874; 95%IC 1.146-68.748; P = .04).
Nessuna differenza statisticamente significativa in termini di LRRFS è stata osservata in base al tipo di protesi utilizzata.
Uno studio retrospettivo, e come tale con tanti limiti, riporta un’associazione tra protesi mammarie testurizzate e rischio di recidiva da carcinoma mammario. L’associazione è caratterizzata dal riscontro di una più alta incidenza di recidive a distanza nel gruppo di pazienti con impianti testurizzati rispetto al gruppo di pazienti con impianti lisci. In particolare, delle venti recidive osservate dieci erano a distanza e sono occorse tutte fra le pazienti con protesi testurizzate.
Come osservato nell’editoriale di accompagnamento, sebbene i due gruppi analizzati apparissero ben bilanciati riguardo alle caratteristiche demografiche e alle altre variabili descritte, una serie di informazioni mancanti rendono lo studio poco robusto e richiedono particolare cautela nell’interpretazione dei risultati.
Fra i limiti principali, la mancata descrizione del trattamento endocrino adiuvante e del trattamento anti-HER2, malgrado l’85% e il 21% della popolazione avesse, rispettivamente, una diagnosi di carcinoma mammario luminale o HER2-positivo. Non è dato sapere, quindi, quanto abbia influito sulle recidive una scelta potenzialmente subottimale del trattamento adiuvante.
Inoltre, una quota di recidive è stata giudicata soltanto sulla base dell’imaging, senza conferma patologica, e non è chiara la distribuzione delle recidive senza biopsia confirmatoria tra i due gruppi di pazienti.
Ancora, nello studio sono state incluse anche 28 pazienti sottoposte a mastectomia di salvataggio a seguito di una recidiva dopo chirurgia conservativa, introducendo un ulteriore fattore confondente.
In conclusione, sebbene lo studio sudcoreano riporti un’associazione tra protesi testurizzate e rischio di recidiva da carcinoma mammario, i risultati non possono essere considerati conclusivi e ulteriori approfondimenti si rendono necessari.
Intanto, è opportuno richiamare quanto il Consiglio Superiore di Sanità ha raccomandato a tutti i soggetti portatori di protesi mammarie (testurizzate o lisce):