Altra chicca dall'ASCO 2021.
Gli inibitori di PARP sono farmaci antitumorali che agiscono su tumori con difetti nel meccanismo di riparazione del DNA noto come ricombinazione omologa. In particolare, attraverso il meccanismo della letalità sintetica, tali agenti si rivelano potenzialmente efficaci in pazienti con carcinoma mammario e mutazione germinale di BRCA1 o BRCA2 a significato patogenetico certo o probabile (varianti).
Tutt ANJ, et al. Adjuvant Olaparib for Patients with BRCA1- or BRCA2-Mutated Breast Cancer. N Engl J Med 2021 (Epub ahead of print)
Disegno dello studio: fase 3 randomizzato, in doppio cieco, internazionale (420 Centri in 23 Paesi).
Popolazione: Pazienti con carcinoma mammario HER2–negativo in stadio precoce e con mutazione germinale di BRCA1 o BRCA2 patogenetica o probabilmente patogenetica, con caratteristiche clinico-patologiche di alto rischio, pre-trattate con chemioterapia adiuvante o neoadiuvante. Era richiesto di aver completato la terapia locale, inclusa la radioterapia, almeno 2 settimane e non più di 12 settimane prima dell’ingresso in studio. Le pazienti dovevano aver completato almeno 6 cicli di chemioterapia neoadiuvante o adiuvante contenente antracicline, taxani, o entrambi gli agenti.
La chemioterapia a base di platino era concessa.
Selezione per alto rischio:
Randomizzazione (1:1): 1 anno di terapia orale con olaparib (300 mg x 2 die per 52 settimane) vs 1 anno di placebo.
Endpoint primario: invasive disease–free survival
Stratificazione: stato recettoriale (negativo vs positivo), tempo dalla terapia precedente (neoadiuvante o adiuvante), uso del platino (sì vs no).
L’analisi è stata condotta su 1836 pazienti sottoposte a randomizzazione.
Caratteristiche delle pazienti: età mediana 42 anni, mutazioni germinali (70% circa coinvolgenti BRCA1), precedente terapia (50% neoadiuvante e 50% adiuvante), uso del platino (27%), malattia triple negative 82%, malattia luminale 18%, stato premenopausale 62%, stato postmenopausale 38%).
All’analisi ad interim pre-specificata event-driven e dopo un follow-up mediano di 2.5 anni, la invasive disease-free survival a 3 anni è stata dell’85.9% nel braccio con olaparib e del 77.1% nel braccio placebo (differenza di 8.8 punti percentuali; 95% IC, 4.5-13.0; hazard ratio per malattia invasiva o morte, 0.58; 99.5% IC, 0.41-0.82; P<0.001).
La distant disease–free survival a 3 anni d è stata dell’87.5% nel braccio con olaparib e dell’80.4% nel braccio placebo (differenza 7.1 punti percentuali; 95% IC, 3.0-11.1; hazard ratio per malattia a distanza o morte, 0.57; 99.5% IC, 0.39-0.83; P<0.001).
Olaparib è risultato associato con meno eventi morte rispetto al placebo (59 e 86, rispettivamente) (hazard ratio, 0.68; 99% IC, 0.44-1.05; P = 0.02); tuttavia, la differenza tra i due bracci non è risultata statisticamente significativa in base ai criteri dell’analisi ad interim che prevedevano un P value of < 0.01.
Il profilo di sicurezza è risultato consistente con gli effetti collaterali noti per olaparib senza eccessi di eventi avversi seri o di eventi di interesse speciale.
In pazienti con carcinoma mammario HER2-negativo in stadio precoce ad alto rischio di recidiva e con mutazione germinale di BRCA1 o BRCA2, la terapia adiuvante con olaparib dopo trattamento locale e chemioterapia neoadiuvante o adiuvante è associata a un miglioramento della sopravvivenza libera da malattia invasiva o da malattia a distanza.
Olaparib ha effetti modesti sulla qualità di vita secondo quanto riportato dalle pazienti.
Lo studio Olympia non fornisce informazioni riguardo all’efficacia di olaparib comparata a quella della capecitabina nel setting del residuo di malattia post-terapia neoadiuvante (strategia da CREATE-X).
Alla luce dei risultati dello studio Olympia, si intravvede un cambio di paradigma in cui sempre più donne con carcinoma mammario verranno sottoposte a test per BRCA1 e BRCA2 al fine di selezionare la terapia ottimale.