Perché l'immunoterapia sia efficace, è necessaria la presenza di determinati tipi di cellule immunitarie, nel giusto stato funzionale e nel contesto spaziale appropriato. Il blocco dei checkpoint immunitari (ICB) ha dimostrato di migliorare l'outcome di pazienti con carcinoma mammario triplo negativo (TNBC) sia nelle fasi metastatiche che in quelle precoci. Tuttavia, non è ancora chiara la base biologica che determina il beneficio individuale, soprattutto nelle fasi iniziali del trattamento. Uno studio ha caratterizzato la relazione tra la struttura istologica, la sua dinamica in terapia e la risposta all'immunoterapia nel TNBC, utilizzando l'Imaging Mass Cytometry (IMC) per quantificare con precisione il fenotipo, lo stato di attivazione e la posizione spaziale delle cellule in tumori campionati in tre momenti diversi da pazienti coinvolte in uno studio randomizzato di immunoterapia neoadiuvante.
Wang XQ, et al. Spatial predictors of immunotherapy response in triple-negative breast cancer. Nature 2023 (Epub ahead of print).
Lo studio ha utilizzato una tecnica chiamata Imaging Mass Cytometry (IMC) per analizzare l'espressione di 43 proteine a risoluzione subcellulare in campioni tumorali di pazienti partecipanti al NeoTrip, studio clinico sul TNBC in fase precoce che ha confrontato la chemioterapia neoadiuvante (carboplatino e nab-paclitaxel) vs. la stessa chemioterapia associata all'anti-PD-L1 atezolizumab.
I campioni tissutali sono stati raccolti in tre momenti differenti: prima del trattamento (basale, 243 campioni), il primo giorno del secondo ciclo di trattamento (in corso di terapia, 207 campioni) e dopo la chirurgia (post-trattamento, 210 campioni).
Sono stati identificati 17 tipi di cellule tumorali e 20 tipi di cellule del microambiente tumorale (TME). Inoltre, è stata verificata la presenza di carboplatino intratumorale. Sono state analizzate le differenze tra i sottotipi di TNBC e la diversa espressione di PD-L1.
Al basale, la proliferazione cellulare e l’espressione di determinate proteine, come MHC-I e MHC-II, insieme alla presenza di linfociti CD8 T che esprimevano la proteina TCF1, sono risultati altamente predittivi di una risposta patologica completa (pCR). Questo è stato osservato solo fra le pazienti trattate con atezolizumab. Inoltre, una maggiore probabilità di beneficiare dell'immunoterapia si è rilevata in presenza di un alto numero di interazioni fisiche ravvicinate tra le cellule tumorali e specifiche cellule del sistema immunitario, come le cellule B e i linfociti CD8 granzyme B+.