Una casistica retrospettiva italiana descrive l'attività di afatinib in pazienti con NSCLC positivo per mutazione di EGFR dopo resistenza acquisita a gefitinib o erlotinib. L'attività? Modesta. Meglio riporre le speranze nei nuovi inibitori di terza generazione...
Lorenza Landi, Marcello Tiseo, Rita Chiari, Serena Ricciardi, Elisa Rossi, Domenico Galetta, Silvia Novello, Michele Milella, Armida D'Incecco, Gabriele Minuti, Carmelo Tibaldi, Jessica Salvini, Francesco Facchinetti, Eva Regina Haspinger, Diego Cortinovis, Antonio Santo, Giuseppe Banna, Annamaria Catino, Matteo GiajLevra, Lucio Crinò, Filippo de Marinis, Federico Cappuzzo, Activity Of EGFR-HER-2 Dual Inhibitor Afatinib in EGFR mutant Lung Cancer Patients With Acquired Resistance To Reversible EGFR Tyrosine Kinase Inhibitors, Clinical Lung Cancer, Available online 16 August 2014
Afatinib è attualmente indicato per il trattamento dei pazienti con NSCLC avanzato, positivo per mutazione di EGFR, non precedentemente trattato con altri inibitori di EGFR (erlotinib o gefitinib).
Lo studio randomizzato LUX-Lung 1 aveva valutato l'efficacia di afatinib in pazienti pretrattati, concludendosi con un risultato negativo (nessun prolungamento della sopravvivenza globale), ma quello studio non prevedeva la selezione per la presenza di mutazione di EGFR.
Nella recente pubblicazione su Clinical Lung Cancer, Lorenza Landi e gli altri colleghi italiani presentano i dati di una casistica retrospettiva di pazienti trattati con afatinib dopo il fallimento dei precedenti trattamenti, allo scopo di descrivere l'attività del farmaco nel setting della resistenza acquisita. Tutti i pazienti avevano un NSCLC avanzato positivo per mutazione di EGFR.
Complessivamente, gli autori presentano i dati di 96 pazienti trattati consecutivamente presso i centri partecipanti tra il 2011 ed il 2013. Tutti i pazienti avevano ricevuto gefitinib e/o erlotinib, e circa metà dei pazienti aveva ricevuto chemioterapia prima dell'inizio di afatinib. Circa due terzi dei pazienti presentava la mutazione dell'esone 19, e un quarto circa dei pazienti era stato sottoposto a una re-biopsia al momento della resistenza acquisita (in un terzo di questi ultimi, era stata identificata la mutazione T790M, presente invece solo in 2 casi al basale).
Afatinib ha prodotto l'11.6% di risposte obiettive, e il 44.2% di stabilità di malattia. Tutti i pazienti rispondenti avevano risposto al precedente inibitore, e il 70% dei rispondenti aveva ricevuto chemioterapia prima del trattamento con afatinib.
Nel complesso, l'attività di afatinib in questa casistica è modesta, come sottolineato dagli stessi autori. Sicuramente più promettenti i dati ottenuti, in questo setting, con gli inibitori di terza generazione (dati presentati all'ASCO 2014), con percentuali di risposte obiettive nettamente maggiori rispetto al deludente 12% ottenuto con afatinib.
Gli autori commentano nella discussione il fatto che la maggioranza dei pazienti rispondenti aveva ricevuto una chemioterapia prima del re-challenge con l'inibitore di EGFR, ipotizzando che un periodo di interruzione dell'inibizione di EGFR possa aumentare le chances di risposta mediante la ri-proliferazione dei cloni sensibili.
D'altra parte, la grande maggioranza dei pazienti non sembra beneficiarsi in maniera significativa del trattamento con afatinib, e gli autori stessi concludono che la resistenza acquisita non sembra essere il setting migliore per afatinib.