Un inibitore di tirosino chinasi di EGFR è al momento il trattamento standard dei pazienti con NSCLC avanzato e mutazione di EGFR. Dal paese del Sol Levante arriva però la dimostrazione di un netto beneficio con la combinazione di bevacizumab ed erlotinib rispetto all'erlotinib da solo.
Seto T et al. Erlotinib alone or with bevacizumab as first-line therapy in patients with advanced non-squamous non-small-cell lung cancer harbouringEGFR mutations (JO25567): an open-label, randomised, multicentre, phase 2 study. Lancet Oncol 2014 [published online August 28, 2014]
Da alcuni anni, in seguito alla dimostrazione di un netto beneficio in PFS, risposte obiettive e qualità di vita, gli inibitori di EGFR (gefitinib, erlotinib, afatinib) rappresentano il trattamento standard dei pazienti con NSCLC avanzato selezionati per la presenza di mutazione di EGFR.
La combinazione di agenti anti-EGFR e farmaci anti-angiogenici non ha prodotto finora risultati particolarmente interessanti, ma il grosso limite degli studi condotti con la combinazione era senza dubbio legato all'assenza di selezione molecolare, per entrambe le classe di farmaci, nei criteri di inclusione.
Qualche giorno fa sono stati pubblicati su Lancet Oncology i risultati dello studio randomizzato di fase II, già presentato all'ASCO 2014, di confronto tra mono-terapia con erlotinib (150 mg al giorno) e combinazione di erlotinib (alla medesima dose) e bevacizumab (15 mg/kg ogni 3 settimane), in pazienti con NSCLC avanzato selezionati per la presenza di mutazione di EGFR e candidati a trattamento di prima linea. Lo studio aveva come endpoint primario la sopravvivenza libera da progressione.
Lo studio ha visto la randomizzazione di 154 pazienti, 77 assegnati alla combinazione e 77 assegnati alla mono-terapia con erlotinib.
La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata nettamente più lunga con l'impiego della combinazione (16.0 mesi rispetto a 9.7 mesi, Hazard Ratio 0.54, intervallo di confidenza al 95% 0.36 – 0.79).
I pazienti assegnati alla combinazione hanno avuto una maggiore incidenza di tossicità cutanea (25% vs 19%), e soprattutto di ipertensione (60% vs 10%), e di proteinuria (8% vs 0), ma la percentuale di eventi avversi seri è risultata simile nei due bracci di trattamento.
I risultati dello studio giapponese, già considerati tra i più interessanti dati presentati all'ultimo meeting ASCO di Chicago, offrono uno spunto molto importante per il futuro trattamento dei casi con mutazione di EGFR.
Nei fatti la combinazione di erlotinib e bevacizumab non può essere ancora considerata uno standard, visto che lo studio giapponese era disegnato come fase II, ma il prolungamento della PFS osservato (con una differenza di oltre 6 mesi nella PFS mediana e un hazard 0.54) è di grande rilevanza. Tra l'altro, questa efficacia è ottenuta, nell'esperienza giapponese, con un incremento di tossicità accettabile e del tutto coerente con quanto atteso dall'impiego di bevacizumab.
Altri studi randomizzati, già in corso, saranno utili per confermare il risultato ottenuto dagli autori giapponesi. In un futuro non molto lontano, la combinazione di due farmaci biologici, dal meccanismo d'azione tanto diverso, potrebbe essere lo standard per i pazienti con mutazione di EGFR.