Uno studio randomizzato condotto in India ha documentato la superiorità della combinazione di gefitinib + chemioterapia con carboplatino e pemetrexed rispetto al TKI da solo. E’ ragionevole parlare di un nuovo standard?
Noronha V, Patil VM, Joshi A, Menon N, Chougule A, Mahajan A, Janu A, Purandare N, Kumar R, More S, Goud S, Kadam N, Daware N, Bhattacharjee A, Shah S, Yadav A, Trivedi V, Behel V, Dutt A, Banavali SD, Prabhash K. Gefitinib Versus Gefitinib Plus Pemetrexed and Carboplatin Chemotherapy in EGFR-Mutated Lung Cancer. J Clin Oncol. 2019 Aug 14:JCO1901154. doi: 10.1200/JCO.19.01154. [Epub ahead of print] PubMed PMID: 31411950.
Da circa 10 anni, il trattamento con gefitinib o con un altro inibitore di tirosinochinasi di EGFR si è imposto come trattamento standard di prima linea dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato, in seguito alla dimostrazione di superiorità in termini di risposte obiettive, sopravvivenza libera da progressione, tossicità e qualità di vita rispetto alla chemioterapia a base di platino.
L’inevitabile comparsa di resistenza alla terapia ha comunque portato alla continua ricerca di nuovi standard terapeutici. Alcuni studi hanno visto la sperimentazione di inibitori di EGFR di nuova generazione, altri hanno invece visto lo studio di combinazioni di un inibitore di prima generazione con altri farmaci, come un antiangiogenico, o con la chemioterapia.
In quest’ultimo filone si inserisce lo studio randomizzato di fase III presentato all’ASCO 2019 e ora pubblicato sul Journal of Clinical Oncology.
Lo studio prevedeva la randomizzazione di pazienti con NSCLC avanzato, caratterizzato dalla presenza di mutazione di EGFR, con performance status compreso tra 0 e 2, candidati a ricevere trattamento di prima linea.
I pazienti assegnati al braccio di controllo ricevevano gefitinib alla dose standard di 250 mg al giorno.
I pazienti assegnati al braccio sperimentale ricevevano, in aggiunta al gefitinib alla medesima dose di 250 mg al giorno, chemioterapia con pemetrexed (alla dose di 500 mg/mq) e carboplatino (alla dose AUC 5), al giorno 1 ogni 3 settimane, per 4 cicli, seguiti da terapia di mantenimento con pemetrexed, oltre ovviamente alla prosecuzione del gefitinib.
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da progressione (PFS).
Endpoint secondari erano la sopravvivenza globale, la proporzione di risposte obiettive, la tossicità del trattamento.
Lo studio ha visto la randomizzazione, tra il 2016 e il 2018, di 350 pazienti: nel dettaglio, 176 pazienti sono stati assegnati al trattamento di controllo con gefitinib in monoterapia, e 174 pazienti sono stati assegnati al braccio sperimentale di combinazione di gefitinib e chemioterapia.
Il 21% dei pazienti aveva un performance status basale 2, e il 18% dei pazienti aveva metastasi encefaliche alla valutazione basale.
L’analisi di efficacia è stata condotta dopo un follow-up mediano pari a 17 mesi.
La proporzione di risposte obiettive è risultata significativamente maggiore con la combinazione di gefitinib e chemioterapia (75%) rispetto a gefitinib (63%, p=0.01).
La sopravvivenza libera da progressione mediana è risultata pari a 16 mesi con la combinazione rispetto a 8 mesi con il gefitinib in monoterapia (hazard ratio 0.51, intervallo di confidenza al 95% 0.39 – 0.66, p<0.001).
La sopravvivenza globale mediana è risultata non ancora raggiunta nel braccio sperimentale, rispetto a 17 mesi nel braccio di controllo (hazard ratio 0.45, intervallo di confidenza al 95% 0.31 – 0.65, p<0.001).
La combinazione di chemioterapia e gefitinib è risultata associata a una maggiore incidenza di tossicità rispetto al TKI da solo: nel dettaglio, tossicità di grado 3 o maggiore sono state registrate nel 51% dei pazienti trattati con la combinazione rispetto al 25% dei pazienti trattati con il gefitinib in monoterapia (p<0.001).
Negli ultimi anni, lo scenario terapeutico dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule avanzato, caratterizzato dalla presenza di mutazione di EGFR, si è arricchito di varie novità. Alcuni inibitori di nuova generazione (dacomitinib e osimertinib) si sono dimostrati superiori, nel confronto testa a testa, rispetto all’impiego di inibitori di prima generazione come il gefitinib e l’erlotinib. Tale maggiore efficacia si è ottenuta, nel caso del dacomitinib, a prezzo di una maggiore tossicità, mentre osimertinib si caratterizza anche per un buon profilo di tollerabilità. I risultati di alcuni studi randomizzati hanno anche suggerito la possibile efficacia dell’aggiunta di un inibitore dell’angiogenesi all’inibizione di EGFR.
In questo scenario, lo studio indiano evidenzia la superiorità, sia in termini di proporzione di risposte obiettive, che di sopravvivenza libera da progressione, che di sopravvivenza globale, della combinazione di chemioterapia e gefitinib, sebbene a prezzo di un prevedibile incremento delle tossicità rispetto al TKI da solo.
Come interpretare questo risultato? Il braccio di controllo è tuttora da considerare un “gold standard”, e quindi un braccio di controllo accettabile per valutare, nell’ambito di un confronto randomizzato, l’efficacia di un nuovo trattamento nei pazienti con mutazione di EGFR? Oppure i suddetti cambiamenti nello scenario terapeutico rendono poco interpretabile il risultato?
Da una parte, non può essere ignorata l’esistenza di TKI di nuova generazione che, senza necessità di aggiungere chemioterapia, hanno dimostrato di poter migliorare l’outcome rispetto agli inibitori di prima generazione. Dall’altra parte, il risultato è la prova di principio che una strategia di combinazione (in questo caso, chemioterapia + TKI) può essere migliore della monoterapia, e potrebbe essere spunto per disegnare studi futuri con altre combinazioni.
Lo studio presentato all’ASCO e pubblicato dal Journal of Clinical Oncology è stato condotto in India. Nel mondo, le capacità economiche e la sostenibilità dei trattamenti oncologici ad alto costo non sono uniformi. Da questo punto di vista, anche se in linea di principio il costo del trattamento dovrebbe essere elemento di scelta solo a parità di efficacia e di tossicità, è innegabile che il risultato ottenuto con la combinazione di un “vecchio” inibitore come il gefitinib e una “vecchia” chemioterapia offra più di uno spunto di riflessione.