Patologia polmonare
Sabato, 04 Aprile 2015

Dimmi quanto capti e ti dirò chi sei

A cura di Massimo Di Maio

L’uptake PET nei tumori del polmone non a piccole cellule in stadio I, poi sottoposti ad intervento chirurgico, è correlato al rischio di ripresa di malattia e alla sopravvivenza. Un’informazione potenzialmente utile per identificare i pazienti candidati a terapia adiuvante?

Kwon W, Howard BA, Herndon JE, Patz EF Jr. FDG Uptake on Positron Emission Tomography Correlates with Survival and Time to Recurrence in Patients with Stage I Non-Small Cell Lung Cancer. J Thorac Oncol. 2015 Mar 25. [Epub ahead of print]

 

I tumori del polmone non a piccolo cellule, in stadio I, hanno ovviamente una prognosi migliore rispetto agli stadi più avanzati, ma presentano comunque un rischio di recidiva non trascurabile, con una mortalità a 5 anni che può raggiungere anche il 40%. Ad oggi, la chemioterapia adiuvante non è raccomandata in stadio I. L’identificazione di fattori prognostici e predittivi dell’efficacia del trattamento sarebbe particolarmente utile in questo setting.

A fine marzo 2015, autori del Duke University Medical Center hanno pubblicato sul Journal of Thoracic Oncology un’analisi retrospettiva dell’outcome dei pazienti con NSCLC in stadio I, trattati presso quel centro nel periodo di tempo compreso tra il 2005 ed il 2010 (escludendo quindi gli anni successivi al 2010, per garantire un adeguato follow-up a tutta la serie).

Per essere eleggibili per l’analisi, i pazienti dovevano avere una valutazione PET eseguita a non più di 90 giorni di distanza dalla data della diagnosi, e comunque prima dell’intervento chirurgico. Nell’analisi, i pazienti sono stati suddivisi in 4 quartili sulla base della distribuzione del valore del SUVmax alla PET, e l’associazione tra incremento del SUVmax e outcome è stata anche descritta in termini di incremento dell’hazard ratio per incremento unitario di SUVmax.

Endpoint dell’analisi erano:

  1. il tempo alla recidiva di malattia;
  2. la sopravvivenza globale.

Complessivamente l’analisi retrospettiva ha identificato 336 pazienti, nei quali, con un follow-up mediano di circa 5 anni, sono stati registrati 134 decessi e 90 recidive di malattia (quindi con un numero non trascurabile di pazienti deceduti senza apparente recidiva di malattia).

Il valore di SUVmax ha dimostrato un’associazione significativa con il tempo alla recidiva: per ciascuna unità di incremento del SUVmax, l’hazard ratio di tempo alla recidiva incrementa di 1.034 (intervallo di confidenza al 95% 1.004-1.062).

Il valore di SUVmax ha anche dimostrato un’associazione significativa con la sopravvivenza globale: per ciascuna unità di incremento del SUVmax, l’hazard ratio incrementa di 1.039 (intervallo di confidenza al 95% 1.016-1.063).

Le analisi per sottogruppi sulla base del sottotipo istologico hanno documentato, come atteso, una captazione mediamente inferiore negli adenocarcinomi rispetto agli altri istotipi. L’associazione tra SUVmax e tempo alla recidiva è risultata significativa negli adenocarcinomi e negli altri istotipi ma non nei tumori squamosi, mentre l’associazione tra SUVmax e sopravvivenza globale è risultata significativa in tutti gli istotipi.

Il lavoro retrospettivo pubblicato sul Journal of Thoracic Oncology non è il primo a documentare il ruolo prognostico della captazione PET nei tumori del polmone non a piccole cellule in stadio iniziale. Nel 2009, Nair e colleghi avevano pubblicato una revisione sistematica degli studi esistenti nei NSCLC in stadio I sottoposti ad intervento chirurgico. Quell’analisi, basata in larga parte su studi retrospettivi, aveva già evidenziato come il rischio di recidiva di malattia aumenti all’aumentare della captazione PET.

Perché, circa 6 anni dopo la pubblicazione di quella revisione sistematica, l’argomento rimane interessante? Sostanzialmente perché sono stati fatti pochi progressi dal punto di vista della caratterizzazione prognostica, e al momento, nella pratica clinica, non ci sono fattori predittivi che consentano di selezionare, in quello stadio, pazienti candidati a ricevere (e a beneficiarsi di) un trattamento adiuvante.

Nelle conclusioni, gli autori statunitensi si sbilanciano affermando che il SUVmax potrebbe essere impiegato come biomarker per l’identificazione dei pazienti candidati al trattamento chemioterapico adiuvante. D’altra parte, identificare un gruppo di pazienti a prognosi peggiore non equivale a dimostrare che quegli stessi pazienti si beneficino necessariamente del trattamento adiuvante.

Appare quindi condivisibile l’affermazione finale degli autori, che auspicano la conduzione di studi prospettici nei pazienti con NSCLC in stadio precoce, che, oltre al ruolo prognostico, possano valutare soprattutto il ruolo predittivo della captazione PET. Tali studi potrebbero produrre evidenze utili per le decisioni terapeutiche nella pratica clinica.