Se il DNA tumorale persiste in circolo dopo un intervento chirurgico apparentemente radicale, i pazienti hanno un rischio molto elevato di recidiva. Questo concetto, già descritto in altri tumori, si applica bene anche al tumore del polmone, e può avere implicazioni importanti per le scelte terapeutiche.
Xia L, Mei J, Kang R, Deng S, Chen Y, Yang Y, Feng G, Deng Y, Gan F, Lin Y, Pu Q, Ma L, Lin F, Yuan Y, Hu Y, Guo C, Liao H, Liu C, Zhu Y, Wang W, Liu Z, Xu Y, Li K, Li C, Li Q, He J, Chen W, Zhang X, Kou Y, Wang Y, Wu Z, Che G, Chen L, Liu L. Perioperative ctDNA-based Molecular Residual Disease Detection for Non-Small Cell Lung Cancer: A Prospective Multicenter Cohort Study (LUNGCA-1). Clin Cancer Res. 2021 Nov 29:clincanres.3044.2021. doi: 10.1158/1078-0432.CCR-21-3044. Epub ahead of print. PMID: 34844976.
Negli ultimi anni, in numerosi tipi di tumori solidi è stata studiata la persistenza di DNA tumorale circolante, dopo un intervento chirurgico condotto con intento radicale, per predire il rischio di recidiva di malattia.
Tradizionalmente, l’indicazione al trattamento adiuvante è data sulla base della stadiazione e delle caratteristiche cliniche del paziente e della malattia: alcuni pazienti potrebbero essere già guariti completamente grazie alla rimozione chirurgica del tumore, e quindi potrebbero risparmiarsi un trattamento post-operatorio potenzialmente tossico somministrato a scopo precauzionale. Al contrario, la presenza o l’assenza di DNA tumorale circolante persistente dopo la rimozione chirurgica può aiutare a identificare chi necessita di ulteriori trattamenti, consentendo – almeno in linea di principio – un approccio “di precisione” in un setting tradizionalmente basato su scelte “non personalizzate”.
Le suddette considerazioni valgono anche per il tumore del polmone, per il quale le linee guida prevedono da tempo l’indicazione a trattamento chemioterapico adiuvante dopo l’intervento chirurgico, almeno per i casi in stadio II e III, sulla base della dimostrazione di un vantaggio in sopravvivenza globale, confermato da vari studi randomizzati e da metanalisi. Tale vantaggio non è clamoroso in termini assoluti (essendo pari a circa il 5% a 5 anni) e si ottiene a prezzo di tossicità non trascurabili, dal momento che la chemioterapia di provata efficacia prevede l’impiego del cisplatino, in pazienti che spesso, per età, patologie concomitanti e recupero post-operatorio non sono i candidati ottimali a un trattamento chemioterapico impegnativo. In questo scenario, una migliore capacità predittiva del rischio di recidiva, e una migliore personalizzazione delle strategie adiuvanti, sarebbe di grande utilità clinica.
Gli autori dello studio recentemente pubblicato da Clinical Cancer Research hanno valutato, in una serie di pazienti sottoposti a chirurgia per neoplasia polmonare diagnosticata in stadio resecabile, l’associazione tra la presenza di DNA tumorale circolante (ctDNA) perioperatorio, che consente di diagnosticare la presenza di malattia residua molecolare (molecular residual disease, MRD) anche in assenza macroscopica di malattia, e il rischio di successiva recidiva.
Lo studio multicentrico LUNGCA, condotto in pazienti candidati a chirurgia per neoplasia polmonare, prevedeva la raccolta prospettica di campioni di plasma raccolti in 3 momenti rispetto all’intervento chirurgico: prima dell’intervento, 3 giorni dopo l’intervento e 1 mese dopo l’intervento.
Nel dettaglio, l’analisi presentata nella pubblicazione è basata sui campioni di 330 pazienti della coorte LUNGCA-1, con tumore del polmone non a piccole cellule (non small cell lung cancer, NSCLC) in stadio I-III.
Per valutare la presenza di DNA circolante tumorale, è stata impiegata una tecnica di next generation sequencing basata su un pannello di 769 geni, che valuta la presenza di mutazioni somatiche a livello del tessuto tumorale e quindi dei campioni di plasma. In pratica, la tecnica consente di vedere se, a livello del sangue, c’è DNA con una “firma” mutazionale uguale a quella delle cellule tumorali.
Nella grande maggioranza dei pazienti studiati, l'analisi del pannello di geni ha consentito di identificare una "firma" mutazionale del tumore, che quindi consente di valutare la presenza o l'assenza del DNA tumorale circolante nel plasma.
La presenza di ctDNA pre-operatorio è risultata associata a una peggiore sopravvivenza libera da recidiva (recurrence-free survival, RFS) (Hazard Ratio 4.2 P<0.001).
La presenza di malattia residua molecolare (vale a dire ctDNA post-operatorio, a 3 giorni e/o a 1 mese) risulta associato a una prognosi peggiore in termini di sopravvivenza libera da recidiva (Hazard Ratio 11.1; P<0.001).
All’analisi multivariata, la persistenza di malattia residua molecolare ha evidenziato un ruolo prognostico indipendente molto forte rispetto alle variabili “classiche” clinico-patologiche, incluso lo stadio TNM.
Nel gruppo di pazienti con malattia molecolare residua, il sottogruppo che aveva ricevuto terapia adiuvante ha mostrato una sopravvivenza libera da recidiva significativamente migliore rispetto al sottogruppo di pazienti che non aveva ricevuto trattamenti adiuvanti (Hazard Ratio 0.3; P=0.008).
Al contrario, nessun vantaggio è stato evidenziato per l’impiego della terapia adiuvante nel gruppo di pazienti senza malattia molecolare residua: addirittura, l’outcome dei pazienti che avevano ricevuto adiuvante è risultato significativamente peggiore (Hazard Ratio 3.1; P<0.001).
Correggendo l’analisi per le altre variabili clinico-patologiche, la somministrazione di terapia adiuvante risulta un fattore associato ad una migliore prognosi nel gruppo di pazienti con malattia residua molecolare (P=0.002), ma non nel gruppo senza malattia residua molecolare (P=0.283).
Sulla base dei risultati sopra riassunti, gli autori sottolineano che la determinazione perioperatoria del DNA tumorale circolante è efficace nel predire il rischio di recidiva di malattia in pazienti sottoposti a chirurgia per NSCLC.
Le implicazioni sulle scelte terapeutiche relative al trattamento adiuvante più o meno aggressivo dopo l’intervento chirurgico sono molto affascinanti.
Naturalmente, i risultati sono molto interessanti ma assolutamente preliminari, dal momento che la determinazione del ctDNA è stata eseguita in maniera “osservazionale” e non ha influenzato le scelte terapeutiche, in particolare in termini di indicazione o meno alla terapia adiuvante. Da questo punto di vista, sono necessari studi randomizzati per valutare in modo metodologicamente solido l'utilità clinica della determinazione del ctDNA per “guidare” l’indicazione al trattamento adiuvante dopo l’intervento chirurgico.
Come può essere disegnato uno studio prospettico in questo setting? Teoricamente, i pazienti in cui non si riscontra malattia residua molecolare possono essere candidati a un approccio di “deescalation”, ed essere randomizzati a ricevere il trattamento adiuvante standard (braccio di controllo) oppure a NON ricevere il trattamento adiuvante (braccio sperimentale), con l’obiettivo di dimostrare la non inferiorità della sola osservazione rispetto al trattamento adiuvante.
Al contrario, i pazienti in cui si riscontra malattia residua molecolare dovrebbero essere candidati al trattamento standard, e magari inseriti in studi che vadano a testare la superiorità di approcci sperimentali rispetto alla chemioterapia standard. In questi pazienti, selezionati per la persistenza di DNA tumorale circolante dopo l’intervento chirurgico, un interessante quesito sperimentale potrebbe riguardare anche quelli nei quali il DNA circolante persista anche dopo il trattamento adiuvante. E’ ipotizzabile, infatti, che i pazienti in cui il DNA si sia negativizzato con la terapia adiuvante abbiano i presupposti per la guarigione, mentre sono fortemente a rischio di recidiva i casi nei quali si osserva persistenza del DNA tumorale in circolo nonostante la terapia adiuvante.
Insomma, ci sono i presupposti per impiegare il DNA tumorale circolante come importante marcatore nel setting perioperatorio, nel tumore del polmone come in altri tipi di tumori solidi.