Uno studio randomizzato mostra che, quando il tumore del polmone che deve essere operato è molto piccolo, un intervento chirurgico più conservativo (segmentectomia o wedge resection) ottiene risultati simili alla classica lobectomia.
Nasser Altorki, M.D., Xiaofei Wang, Ph.D, David Kozono, M.D., Ph.D., Colleen Watt, B.S., Rodney Landrenau, M.D., Dennis Wigle, M.D., Ph.D., Jeffrey Port, M.D., David R. Jones, M.D., Massimo Conti, M.D., Ahmad S. Ashrafi, M.D., Moishe Liberman, M.D., Ph.D., Kazuhiro Yasufuku, M.D., Ph.D., Stephen Yang, M.D., John D. Mitchell, M.D., Harvey Pass, M.D., Robert Keenan, M.D., Thomas Bauer, M.D., Daniel Miller, M.D., Leslie J. Kohman, M.D., Thomas E. Stinchcombe, M.D., and Everett Vokes, M.D. Lobar or Sublobar Resection for Peripheral Stage IA Non–Small-Cell Lung Cancer. N Engl J Med 2023; 388:489-498
Circa trent’anni fa, veniva pubblicato uno studio randomizzato che, confrontando la lobectomia con la resezione sublobare per i tumori polmonari di piccole dimensioni, evidenziava un maggior rischio di recidiva con l’intervento più conservativo e una minore possibilità di guarigione. Di conseguemza, in questi decenni, la lobectomia è rimasta l’intervento standard, riservando interventi più conservativi a casi specificamente selezionati sulla base delle caratteristiche individuali di rischio del paziente.
Naturalmente, in questi decenni il quesito clinico ha conservato l’interesse, anzi tale interesse è cresciuto in considerazione dell’aumento dei casi diagnosticati in stadio molto precoce grazie alla lenta diffusione delle procedure di screening. In questo contesto, un recente studio randomizzato giapponese ha prodotto risultati interessanti a favore della segmentectomia rispetto alla lobectomia.
Lo studio pubblicato sulle prestigiose pagine del New England Journal of Medicine era uno studio randomizzato di fase III, multicentrico (condotto dal gruppo CALGB negli Stati Uniti, coinvolgendo anche centri canadesi ed australiani), con un disegno di non inferiorità. Erano eleggibili pazienti con diagnosi di tumore del polmone non a piccole cellule (non-small cell lung cancer, NSCLC), in stadio clinico T1aN0 (vale a dire dimensioni del nodulo polmonare primitivo non superiori a 2 centimetri, con linfonodi apparentemente indenni).
I pazienti erano assegnati dalla randomizzazione, dopo conferma intraoperatoria della negatività dei linfonodi, al braccio di controllo (resezione lobare) o al braccio sperimentale (resezione sublobare).
Endpoint primario dello studio era la sopravvivenza libera da malattia (disease-free survival, DFS). Lo studio aveva un disegno di non inferiorità, puntando a dichiarare che il trattamento conservativo era non inferiore rispetto alla lobectomia se l'intervallo di confidenza dell'Hazard Ratio della DFS fosse stato contenuto entro il margine di 1.306.
Endpoint secondari erano la sopravvivenza globale, l'incidenza di recidiva loco-regionale, l'incidenza di recidiva sistemica, e la funzionalità respiratoria.
In un arco di tempo di 10 anni (da giugno 2007 a marzo 2017), sono stati randomizzati 697 pazienti: nel dettaglio, 340 pazienti sono stati assegnati al braccio sperimentale (resezione sublobare) e 357 pazienti sono stati assegnati al braccio di controllo (resezione lobare).
Con un follow-up mediano di 7 anni, la resezione sublobare è risultata non inferiore rispetto alla lobectomia in termini di disease-free survival (hazard ratio 1.01, intervallo di confidenza al 90% 0.83 – 1.24).
Per quanto riguarda la sopravvivenza globale, essa è risultata simile nei due bracci (hazard ratio 0.95, intervallo di confidenza al 95% 0.72 – 1.26).
La probabilità di sopravvivenza libera da progressione a 5 anni è risultata pari al 63.6% (intervallo di confidenza al 95% 57.9 - 68.8) nei pazienti sottoposti a resezione sublobare, rispetto al 64.1% (intervallo di confidenza al 95% 58.5 - 69.0) nei pazienti sottoposti a resezione lobare.
La probabilità di sopravvivenza globale a 5 anni è risultata pari all’ 80.3% (intervallo di confidenza al 95% 75.5 – 84.3) nei pazienti sottoposti a resezione sublobare, rispetto al 78.9% (intervallo di confidenza al 95% 74.1 – 82.9) nei pazienti sottoposti a resezione lobare.
Non sono state riscontrate differenze sostanziali tra i due bracci di trattamento in termini di incidenza di recidive, sia loco-regionali che a distanza.
A 6 mesi dall’intervento chirurgico, la funzionalità respiratoria è risultata leggermente a favore del braccio sottoposto a resezione sublobare, con una differenza di 2 punti percentuali nella percentuale mediana del FEV1 predetto.
Sulla base dei risultati sopra sintetizzati, gli autori concludono che la resezione sublobare ha dimostrato un’efficacia non inferiore, in termini di sopravvivenza libera da recidiva, rispetto alla lobectomia, in pazienti con un tumore polmonare molto piccolo (di dimensioni inferiori a 2 cm, in assenza di interessamento linfomodale). Rassicuranti anche i risultati in termini di sopravvivenza globale.
Con il diffondersi delle procedure di screening, è auspicabile che un numero sempre maggiore di casi di tumore del polmone possa essere diagnosticato in stadio iniziale. Questo comporta ovviamente un incremento delle chance di terapie potenzialmente guaritive, e rappresenta inoltre una premessa per eventuali trattamenti conservativi e meno demolitivi rispetto alla chirurgia tradizionale.
Negli anni, la lobectomia si è affermata come trattamento standard rispetto alla resezione dell’intero polmone, con ovvi vantaggi in termini di recupero post-operatorio e di rischi di complicanze. In questo scenario, gli interventi ancor meno aggressivi (resezioni sublobari) sono stati riservati a situazioni personalizzate, nell’ottica del risparmio di parenchima polmonare e riduzione dei rischi associati all’intervento chirurgico. Vari studi non randomizzati, confrontando l’outcome dei pazienti sottoposti a lobectomia rispetto a quelli sottoposti a resezioni sublobari, avevano suggerito una simile efficacia (eventualmente a prezzo di un rischio leggermente maggiore di recidive locali), e lo studio giapponese ha ribadito la bontà del razionale. Lo studio pubblicato dal NEJM è molto importante, perché conferma in un confronto randomizzato condotto in una popolazione di pazienti occidentali che, almeno nei tumori piccoli, l’intervento più conservativo garantisce un outcome oncologico simile, e quindi si propone come standard.
Gli studi di non inferiorità rappresentano sempre un’interessante sfida metodologica e uno stimolante argomento di dibattito scientifico. Quale soglia di efficacia si è disposti a sacrificare in un contesto in cui l’obiettivo è la guarigione? La scelta del margine di non inferiorità in un contesto di questo tipo è particolarmente delicata. Gli autori hanno scelto come margine di non inferiorità 1.306 (vale a dire accettando che la resezione sublobare potesse essere associata a una efficacia fino al 30% inferiore rispetto alla resezione standard). Nello studio del CALGB, il margine dell’intervallo di confidenza dell’hazard ratio della DFS rispetta questo margine, e la stima puntuale dell’HR è particolarmente rassicurante, essendo vicina all’unità.
Naturalmente il risultato è stato ottenuto in una popolazione di pazienti particolarmente selezionati per lo stadio molto piccolo.
L’editoriale che accompagna la pubblicazione dello studio del CALGB ha un titolo intrigante: “Initiating the Era of “Precision” Lung Cancer Surgery”, in cui si ripercorre la storia di una chirurgia sempre più conservativa, dalla pneumonectomia alla lobectomia alle recenti evidenze a supporto degli interventi meno demolitivi. Un concetto di “precisione” diverso da quello che comunemente impieghiamo in ambito di trattamento sistemico, ma che ha l’obiettivo di ottimizzare le scelte terapeutiche, dimostrando che non sempre fare di più vuol dire fare meglio.