Le evidenze a sostegno della radioterapia toracica nei pazienti con microcitoma polmonare avanzato sono incerte. E contrastanti le raccomandazioni delle linee guida. Cosa si fa nella pratica clinica?
Mitin Timur, Jain Aditya, Degnin Catherine, Chen Yiyi, Henderson Mark, Thomas Charles R.Current patterns of care for patients with Extensive Stage Small Cell Lung Cancer: survey of US radiation oncologists on their recommendations regarding thoracic consolidation radiotherapy. Lung Cancer http://dx.doi.org/10.1016/j.lungcan.2016.08.005
A settembre 2014 segnalavamo su Oncotwitting la pubblicazione dello studio randomizzato di Slotman, che valutava la somministrazione della radioterapia toracica, in aggiunta all’irradiazione profilattica dell’encefalo, nei pazienti con microcitoma esteso, in risposta dopo il trattamento chemioterapico.
Lo studio era formalmente negativo, in quanto la sopravvivenza globale e la sopravvivenza a 1 anno non erano significativamente diverse nei due bracci, ma gli autori segnalavano un incremento della sopravvivenza a 2 anni (13% vs 3%) nel braccio di pazienti assegnati a ricevere la radioterapia toracica.
Due anni fa ci chiedevamo se questi risultati sarebbero bastati a cambiare la pratica clinica. Ora, ad agosto 2016, autori americani pubblicano, su Lung Cancer, una survey che mira a descrivere proprio l’orientamento, nella pratica clinica americana, relativamente alla somministrazione della radioterapia toracica nei pazienti con microcitoma polmonare, in stadio esteso, in risposta dopo la chemioterapia.
Il questionario online era rivolto ai radioterapisti statunitensi, invitati a partecipare tramite email.
Di quasi 7000 invitati a rispondere alla survey, gli autori hanno raccolto le risposte di 473 radioterapisti.
Oltre metà dei rispondenti avevano un’esperienza lavorativa di oltre 10 anni, e il 70% dei rispondenti trattava oltre 10 pazienti con tumore del polmone per anno.
II 96% dei rispondenti alla survey raccomanda la radioterapia toracica per i pazienti con microcitoma polmonare esteso dopo la chemioterapia.
Grande variabilità è stata registrata, nelle risposte alla survey, per quanto riguarda la dose raccomandata per la radioterapia. I rispondenti che valutavano con punteggio maggiore la propria conoscenza degli studi clinici esistenti sull’argomento, raccomandano in media l’impiego di dosi minori.
I pazienti trattati in istituzioni accademiche presentano una minore chance di ricevere radioterapia toracica rispetto ai pazienti trattati nelle cliniche private (p=0.0101).
Gli autori sottolineano che, in base alle risposte registrate, un’elevatissima percentuale di radioterapisti statunitensi segue la raccomandazione contenuta nelle linee guida NCCN, vale a dire raccomanda la radioterapia toracica nei pazienti con microcitoma polmonare esteso in risposta dopo la chemioterapia.
Va sottolineato che i risultati pubblicati su Lung Cancer sono basati, come spesso accade per le survey, su un campione di rispondenti veramente molto limitato rispetto agli invitati, e questo può sicuramente rappresentare un bias nel risultato. E’ infatti probabile che la percentuale di orientamento favorevole alla radioterapia toracica sia nettamente più alta in chi ha risposto alla survey rispetto a chi ha archiviato l’invito ricevuto via mail senza rispondere.
Lo scenario italiano è molto diverso, con le linee guida AIOM (edizione 2015) che non raccomandano la radioterapia toracica in questo setting, pur citando lo studio pubblicato su Lancet Oncology nel 2014: “Non esistono al momento evidenze scientifiche tali da far raccomandare nella pratica clinica la radioterapia toracica al termine di un programma chemioterapico di induzione. La radioterapia toracica di consolidamento nel microcitoma in malattia estesa deve pertanto essere considerata sperimentale.”
Per quanto riguarda la dose, non sorprende che i rispondenti alla survey con maggiore conoscenza della letteratura abbiano raccomandato, per la radioterapia toracica, la dose “prudente” di 30 Gy in 10 frazioni, evitando dosi più elevate, a rischio di maggiore tossicità e senza alcuna evidenza di un reale beneficio in sopravvivenza.
Le survey sono sicuramente uno strumento utile per “puntare” l’attenzione su situazioni cliniche nelle quali le evidenze scientifiche sono deboli, o contrastanti, oppure per valutare il comportamento nella pratica clinica rispetto alle raccomandazioni teoriche delle linee guida. Va detto, tuttavia, che quando il numero di rispondenti è scarso, la fotografia rischia di essere molto falsata e il messaggio fuorviante.