Una survey condotta in Germania, Francia e Italia documenta un notevole impegno per i caregivers (spesso coniugi, o figli) che assistono i pazienti affetti da tumore del polmone, con un carico materiale (anche in termini di tempo e di sacrifici al lavoro) e un netto impatto sulla qualità di vita.
Wood R, Taylor-Stokes G, Lees M. The humanistic burden associated with caring for patients with advanced non-small cell lung cancer (NSCLC) in three European countries-a real-world survey of caregivers. Support Care Cancer. 2019 May;27(5):1709-1719. doi: 10.1007/s00520-018-4419-3. Epub 2018 Aug 18. PubMed PMID: 30121787.
I pazienti affetti da tumore del polmone sono spesso anziani, e già alla diagnosi spesso soffrono di sintomi di malattia che possono rendere indispensabile la necessità di una o più persone che si occupino della loro assistenza, anche nella fase di trattamenti antitumorali attivi.
Tale assistenza può a volte avvalersi di personale pagato, ma spesso ricade sui parenti del paziente (spesso il coniuge e/o i figli), che si prendono cura del paziente, sia per quanto riguarda le necessità al proprio domicilio, sia per quanto riguarda le visite in ospedale, che possono essere anche abbastanza frequenti, per le visite, per la somministrazione delle terapie e per gli eventuali esami necessari. Tale impegno può comportare anche importanti sacrifici al lavoro, o nelle altre attività quotidiane, e contribuisce sicuramente alla “tossicità finanziaria” di cui ultimamente si parla anche in Italia.
Tra il 2015 e il 2016, in Italia, Germania e Francia, è stata condotta una survey coinvolgendo i pazienti affetti da tumore del polmone non a piccole cellule (NSCLC) avanzato, ed i loro caregivers.
I dati utilizzati per l’analisi sono stati recuperati dalle cartelle cliniche, nonché da questionari appositamente somministrati ai pazienti e ai loro caregivers.
Gli strumenti impiegati per l’indagine sono stati:
L’analisi è stata condotta su una popolazione di 427 caregivers (di età media pari a 53.5 anni, nella maggior parte dei casi (72.6%) donne, nel 54.9% dei casi coniuge del paziente, nel 36.2% dei casi lavoratori a tempo pieno).
I corrispondenti 427 pazienti avevano un’età media di 66.2 anni, ed erano per oltre due terzi (68.6%) maschi, la maggior parte dei quali stava ricevendo una terapia di prima linea per il tumore del polmone avanzato.
Il carico orario complessivo del supporto offerto dal caregiver è stato quantificato, mediamente, in 29.5 ore per settimana.
Alcune tipologie di supporto dichiarate dai caregivers sono state:
(NB tale lista è un estratto dell’elenco completo, riportato nel lavoro).
Anche se, nel sottogruppo di pazienti francesi, l’impatto sulla qualità di vita è risultato peggiore nei pazienti sottoposti a seconda linea o successive, rispetto ai pazienti in trattamento di prima linea, questa differenza non è risultata statisticamente significativa nella popolazione complessiva. Il rischio di depressione è risultato significativamente più alto nei caregivers dei pazienti sottoposti a seconda linea o successive.
L’impatto negativo complessivo sull’attività lavorativa, per i caregivers occupati, è risultato pari al 21.1% in Germania, al 30.4% in Francia e al 29.7% in Italia.
Gli autori impiegano, per definire i complessi e delicati aspetti indagati nell’analisi relativamente al “carico” dei caregivers dei pazienti affetti da tumore del polmone, il termine “humanistic burden”, che sottolinea quanto tale carico comprenda sia aspetti psicologici, sia aspetti concreti legati all’attività lavorativa e alle altre attività quotidiane.
Giustamente, gli autori sottolineano che il carico medio sui caregivers, in termini orari, sfiora le 30 ore settimanali, diventando quasi un lavoro a tempo pieno. Anzi, l’impatto negativo sul lavoro, nel caso dei caregivers lavoratori, riferito in termini di sacrificio percentuale sulle ore di lavoro, è anche contenuto, se si considera il notevole impegno orario richiesto dall’assistenza. Questo porta gli autori a commentare che probabilmente, la ricaduta negativa in termini qualitativi sul lavoro è anche peggiore rispetto al dato delle ore sacrificate.
Un limite dell’analisi, come evidenziato dagli autori stessi nella discussione, è che la raccolta dei questionari ha coinvolto pazienti seguiti attivamente in ospedale, mentre è presumibile che il carico per i caregivers possa essere, per certi aspetti, ancora più grande, almeno dal punto di vista psicologico, per quei pazienti che, a causa dello scadimento delle condizioni generali legato alla progressione della malattia, non sono più sottoposti a trattamenti attivi. Dal punto di vista dell'impegno pratico, peraltro, la disponibilità di servizi di assistenza domiciliare e cure palliative dovrebbe rendere meno oneroso il carico logistico che ricade direttamente sul caregiver.
Inoltre, lo studio era basato su un disegno cross-sectional, non prevedendo l’indagine dell’evoluzione delle risposte nel tempo. E’ chiaro che il “carico” emotivo e logistico può aumentare nel corso della storia di malattia. In parte, questa analisi è consentita dal fatto che nello studio erano inclusi sia pazienti sottoposti a trattamento di prima linea, sia pazienti sottoposti a linee successive.
E’ interessante sottolineare che, in Italia, la maggior parte del carico ricade, quando possibile, sul nucleo familiare del paziente, e questo ha importanti ricadute, oltre che psicologiche, anche concrete in termini di disagi quotidiani, in particolare per chi lavora. Sia quest’ultimo aspetto, sia l’eventuale necessità di ricorrere all’assistenza di caregivers pagati, concorrono in maniera potenzialmente importante alla “financial toxicity”, ricordandoci quanto la tossicità finanziaria non sia solo legata ai costi diretti dei farmaci antitumorali (che, almeno in Italia, ricadono sul servizio sanitario nazionale), ma a molti altri aspetti, incluse le spese per l’assistenza e le conseguenze negative per il lavoro (del paziente, ma anche delle persone che lo assistono).
Come noto, è in corso un progetto italiano per produrre un nuovo questionario, che misuri i determinanti della tossicità finanziaria nei pazienti oncologici italiani. Il progetto, coordinato dall'Istituto Nazionale Tumori di Napoli, vede coinvolti oncologi medici, associazioni (AIOM, CIPOMO, FAVO, AIMaC, GIMEMA), esperti di welfare, economisti, psicologi, sociologi e biostatistici. Lo studio, che coinvolge pazienti trattati all'Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli, all'Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma e all'Ospedale Mauriziano di Torino, ha già completato le prime fasi previste, producendo una lista di concetti rilevanti. A tale proposito, è importante sottolineare che nelle prime fasi del progetto sono stati condotti, presso ciascun centro, dei focus group che hanno coinvolto non solo i pazienti, ma anche i caregivers, per identificare i temi potenzialmente rilevanti. Nei prossimi mesi si arriverà al questionario definitivo, che consentirà di avere a disposizione uno strumento di misura della tossicità finanziaria creato ad hoc per la realtà italiana.